L'intervista

«La giustizia può salvare l'economia», parola all'avvocato Della Valle

Leonardo Petrocelli

Processi rapidi e veloci sono garanzia di investimenti

È stato l’avvocato di Enzo Tortora, ma anche uno dei fondatori di Forza Italia di cui fu capogruppo a Montecitorio, oltre che esponente di peso in Commissione Giustizia. Quella di Raffaele Della Valle, classe 1939, piemontese ma figlio di un magistrato napoletano, è una storia che attraversa il dopoguerra nel segno di quel pensiero liberale di cui, oggi, tra populismi e trasformismi vari, si sono smarrite le tracce. «Ormai si professano tutti liberali - afferma - e questo vuol dire che di fatto non lo è più nessuno. Si è garantisti con se stessi e giustizialisti con gli altri. Questa è la regola. È delle tante derive del nostro Paese».


Avvocato Della Valle, il nuovo Governo guidato da Mario Draghi, con Marta Cartabia alla Giustizia, sta iniziando la sua marcia. È ottimista?
«Non abbiamo ancora letto il programma, ma il ministro ha un notevole spessore, mi aspetto cose buone. Ha tutte le carte in regole per condurre a buon fine delle operazioni importanti. Possiamo dire così: è la rivincita della professionalità».

Finora non c’è stata professionalità?
«Finora ha vinto il populismo che, purtroppo, porta con sé sempre leggi malsane perché legifera sotto l’impeto della passione e non sotto l’impero della ragione».

Si riferisce, in particolare, alla riforma della prescrizione?
«Non possiamo far gravare sull’imputato le inefficienze dello Stato. La prescrizione non l’ha inventata Berlusconi ma è una antica istituzione che risponde a un principio preciso: tranne che per i casi gravissimi il lasso di tempo non può essere eccessivo. Che senso può avere, dopo vent’anni dal reato, comminare una pena di tre ad una persona che ormai è completamente diversa nella mentalità, nel carattere e anche nel fisico?»

E dunque?
«E dunque non c’è dubbio che, su questo punto, sia necessario fare un passo indietro per poi mettere mano ai problemi reali a cominciare dal potenziamento degli organici e non solo quello dei magistrati. E poi c’è il problema dell’obbligatorierà dell’azione penale che impone di aprire un fascicolo anche per la più stupida delle denunce. In vita mia ne ho viste di tutti i colori anche un proprietario di ristorante citato in giudizio perché una zanzara aveva morso un cliente all’uscita dal locale. Può far sorridere, ma è la realtà. Siamo a questo e ci siamo da tempo».

C’è una angolazione, però, di solito sottovalutata. Quanto incide la malagiustizia, o la giustizia troppo lenta, sulla mancata crescita del Paese?
«Incide enormemente. E, infatti, il neoministro Cartabia lo sa benissimo, quando si chiede la riforma della giustizia è sulla velocità di quella civile che si dovrebbe intervenire subito. Credo che un esempio possa chiarire la faccenda».

Prego.
«Se io sono un imprenditore americano che vuole investire in Italia ho bisogno di sapere alcune cose con certezza: quanto ci vuole per impiantare uno stabilimento? Quanto dura una causa di lavoro? Quanto tempo ci vuole per ricorrere al Consiglio di Stato e risolvere una controversia con la pubblica amministrazione? Se costruisco degli appartamenti e li affitto, quanto tempo serve per ottenere lo sfratto di un moroso? Non sono divagazioni, chiacchiere in punta di diritto. Questa è la realtà».

Oltre alla separazione delle carriere, cui tra poco arriveremo, c’è quindi anche il problema della separazione tra economia e diritto.
«Economia e diritto sono strettamente intrecciati. Se la giustizia zoppica, l’economia, che non ha tempo né risorse per aspettare, si sposta altrove, dove tutto funziona. È un intimo legame: tanto più giustizia civile e amministrativa corrono con risolutezza e precisione, tanto più si materializza l’interesse dell’imprenditore a investire. Dunque, poiché la crisi economica imperversa, è probabile che la Cartabia inizi proprio da qui».

Ma se tutto è così evidente perché in tanti anni non si è fatto nulla?
«La giustizia lenta fa comodo a tanti. Ad esempio fa comodo ai colpevoli, mentre gli innocenti si augurano che tutto si chiuda nel più breve tempo possibile. Spostandoci in campo economico, è il debitore a temere una giustizia rapida e veloce. Sembrerà una generalizzazione, ma è così».

C’è chi sostiene che i veri nemici della giustizia rapida e veloce siete voi avvocati.
«Noi non rallentiamo un bel niente. Al contrario, siamo delle sentinelle della giustizia. Semplicemente vogliamo una corretta interpretazione della legge e, se qualcosa non va, lo facciamo notare. Ma questo non vuol dire affatto essere un elemento di disturbo».

Velocizzare, snellire, migliorare. Ma tutto questo ha senso se poi la giustizia perde credibilità con vicende come quella legata all’ex presidente dell’Anm Luca Palamara?
«Guardi, è dai tempi del caso Tortora che io sostengo la necessità di individuare i membri del Csm attraverso il sorteggio. Lo affermò per primo il costituzionalista Paolo Barile, io ripresi più volte quella tesi e mi risero in faccia. Ma sarebbe l’unico modo per avere un Csm autonomo».

Conosce l’obiezione: e se poi sorteggiano un incapace?
«Meglio, almeno non farà danni nei tribunali. Gliela ribalto: perché un fesso può essere il giudice dei cittadini e non il giudice dei giudici? Tra l’altro, prima di sorteggiare, ci sarebbe una sorta di filtro per disinnescare le ipotesi peggiori».

Nessuno però sembra avere la forza di porre rimedio a questa situazione. Né la giustizia, né la stessa politica.
«I punti sono due. Il primo è capire chi controlla, il secondo è quello della responsabilità oggettiva. Pensiamo alle intercettazioni che diventano, anche quando non potrebbero, di dominio pubblico. Si sa benissimo chi è stato, ma nessuno fa niente. Nelle farmacie esiste l’armadio dei veleni e se un veleno “scappa” il farmacista ne risponde. Ecco, lo stesso dovrebbe avvenire con una sorta di armadio delle intercettazioni. Se qualcuna scappa, scatta la responsabilità oggettiva».

Dove ci porta tutto questo?
«Alla madre di tutte le battaglie e di tutte le riforme cioè la separazione delle carriere. Siamo l’unico Paese dove ancora non c’è ed è davvero qualcosa di improcrastinabile»

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