Il calcio

Stadi senza pubblico, sfide senza telespettatori

Fabrizio Nitti

Si prefiguravano ascolti da record. L’audience è crollato, si parla di un 40% in meno rispetto alle prime due partite

«Niente sarà più come prima». Si è visto. Crollo dei telespettatori malati di calcio. Cosa che il tormentone testé ricordato non prevedeva. Eppure ci ha accompagnato nei giorni tristi e bui del lockdown, quando la tv distillava le cifre drammatiche delle vittime del Covid-19 e del futuro non c’era certezza. Con il calcio colto da una serie di dubbi amletici e sballottato da una parte all’altra. Poi il «ripristino» della vita normale, più o meno. E la nuova alba del pallone con le preghiere al ministro Spadafora della serie «dacci il nostro calcio quotidiano». E fu così. Abbuffata di partite in tv e gente famelica in attesa del giorno della sfida.

Si prefiguravano ascolti da record. «Liti», per vedere questa o quella partita, mariti e mogli sul piede di guerra perché nella vita «comandi fino a quando hai sempre in mano il tuo telecomando». E in effetti per la prima giornata di (ri)campionato, il record c’è stato. Con la gente più «ingrifata» che di fronte alla mitica scena di Sharon Stone soavemente scosciata davanti al detective Michael Douglas in Basic Instinct. Ma quella è un’altra storia...

Ma la stessa tv adesso si sta trasformando in un autentico autogol per il mondo del pallone. L’audience è crollato, si parla di un 40% in meno rispetto alle prime due partite. E cominciano indagini per capire i motivi di tale metamorfosi che ha molto del «tafazziano». Intanto, lo spettacolo offerto. Passi per le prime due giornate, durante le quali l’astinenza e la curiosità hanno giocato un ruolo determinante e calamitoso. Le altre partite non hanno offerto nulla che già non si sapesse. Menù appesantito da un ritmo che non esiste e dalla fantasia annebbiata dal lungo periodo di inattività. Torpore calcistico, dal quale emerge la sola Atalanta. Con la Juve che serenamente si avvia a vincere l’ennesimo scudetto per mancanza di avversari o valida alternativa.

Punto due. Si gioca ogni giorno, in pratica. E il tifoso scontento dello spettacolo, per quale ragione dovrebbe perdere l’intera serata suol divano di casa? Questa overdose di partite alla fine annoia. Separa. Allontana. Non c’è neanche il tempo di discutere con gli amici se quello era gol o no, se c’era un fuorigioco, se la «Var» ha visto giusto o meno. L’attesa dell’evento non è più un’attesa. È una miccia disinnescata.

Ma il carico da undici messo a terra dall’assenza di pubblico negli stadi. Per carità, motivazioni sacrosante anche se qualcosa si può organizzare per provare a popolare un po’ gli impianti. Il silenzio sugli spalti è da passeggiate cimiteriali, le urla dei giocatori non eccitano, l’«immergiamoci in campo» di Caressa è simpatico, ma è il termometro della situazione. E il «finto pubblico» sembra il classico due di spade con la briscola a coppe. Vale 0 nel tentativo di eccitare il tifoso costretto a casa.

Si sta abbattendo una sorta di legge del contrappasso sul calcio italiano che dalle stesse tv ha sempre tratto linfa vitale per il suo sostentamento, tralasciando colpevolmente tutta un’altra serie di opportunità differenti. Non è un mistero che, eccezione fatta per i «grandi» club, il resto del gruppo stia perennemente aggrappato alle «tette» di mamma tv per far quadrare bilanci. Se per la Bundesliga (sempre gli «odiati» tedeschi...) i ricavi televisivi rappresentanto solo il 44% del fatturato, in Italia, ma anche in Inghilterra dove però sono «naturalmente» più ricchi, rappresentano il 59%. Ovviamente parliamo della serie A.

Tutto questo non «giocherà» a favore dei nostri club, soprattutto quando si dovrà andare a trattare il rinnovo degli accordi sui diritti televisivi. E qui ancora i tedeschi ci hanno visto giusto, anticipando il rinnovo del contratto per altri quattro anni, guadgnando meno ma mettendosi a parte civile. Ma come? Il prodotto piace sempre meno al pubblico e dobbiamo scucire più denaro? Questa è la litania che i nostri dirigenti si sentiranno ripetere. E in verità il fatto che all’appello manchi ancora l’ultima rata da 130 milioni di Sky, fa già capire su quale strada si stia andando. Facile immaginare, se tutto proseguirà così e se a nessuno si accenderà la lampadina, il dramma finanziario ed economico al quale dovranno dare conto i club. Meno introiti, meno mercato, meno spettacolo, meno tutto. E lo spauracchio di un campionato d’Europa solo per grandi club sullo sfondo. Meditate, gente. Meditate.

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