L'emergenza
Bari, il carrello della spesa costa di più: aumenti del 20-30%. Speculazione? «Colpa dei grossisti»
Dall'ortofrutta al pesce, il costo della riduzione di forniture per ristoranti, sale ricevimenti rischia di essere scaricatore sul consumatore finale
Ogni volta che le fabbriche chiudono, che il lavoro cala, che le famiglie con quattro spiccioli da parte oppure le famiglie monoreddito sono costrette a fare i conti con budget sempre più ristretti, il carrello della spesa diventa più salato. Un paradosso. Oppure gli effetti della speculazione. Così i baresi che ieri non si sono sottratti al rito del rifornimento del frigo e della dispensa hanno pagato, a parità di quantitativi, il 20-30 per cento in più rispetto a una settimana fa. Il biologico e i prodotti di alta gamma, quelli di prima categoria, sono rincarati anche del 50%.
Ecco il borsino di un fruttivendolo di Carrassi, una bottega che propone merce non dissimile da quella offerta nel mercato di Santa Scolastica per qualità e valore economico: un chilo di patate di Zapponeta 1,35 euro (+35 centesimi rispetto a sabato scorso), un chilo di rape non di prima scelta 2 euro (+50 centesimi), un chilo di arance da spremuta 1 euro (+20 centesimi), una cicoria con le cime 1,25 euro (+25 centesimi), un chilo di pomodori da insalata 3,50 euro (+50 centesimi).
Non va meglio neppure nelle pescherie senza lustrini e senza fronzoli, la cui clientela si fa i conti in tasca prima di scegliere fra un’orata di mare oppure un’orata di allevamento: la seconda, però di taglia maggiore rispetto a una settimana fa, da 10 è passata a 15 euro al chilo, la prima da 35 a 40. I gamberi bianchi di Mola costano 15 euro al chilo e non più 10, il polpo è passato da 15 a 18 euro al chilo.
Un salasso che appare ingiustificato. Bari, la Puglia, l’Italia non sono vittime di una calamità naturale che ha messo in ginocchio l’agroalimentare. Non c’è nessuna carestia. Gli scambi delle merci non sono mai stati interrotti. Il barile del petrolio è stabile. Gli iper abbassano la saracinesca soltanto oggi e domenica prossima: negli altri giorni funzionano, e spesso a orario continuato.
Cosa è successo? Una chiave di lettura è quella fornita dall’avvocato Raffaella Altamura, consulente di impresa, che argomenta nella veste di presidente della Confesercenti Terra di Bari. Fa una premessa: «Nessuno vuole buttare la croce sui negozi di vicinato, anzi. In questa fase assolvono a un doppio ruolo: offrono un servizio alla clientela e al territorio e sono le uniche luci accese nelle città deserte. I cittadini sanno che il fruttivendolo, la macelleria, la pescheria, la salumeria sotto casa continuano a lavorare: nessuno viene preso dal panico di rimanere senza scorte, nonostante in tanti si siano fatti prendere dalla sindrome dell’accumulo. Detto questo, che la tavola sia improvvisamente più cara è nei fatti. I nostri associati, con fatture alla mano, ci hanno dimostrato che gli aumenti hanno origine nei mercati generali. Sono i grossisti ad aver ritoccato i prezzi verso l’alto. Chi invece in questa fase non si sta arricchendo sono i titolari dei negozi di quartiere».
I rifornitori avrebbero dunque alzato i prezzi. «Un’ipotesi - ragiona Altamura - è il crollo del volume delle vendite riferite alle sale ricevimenti, ai ristoranti, ai pub, alle pizzerie, alle gastronomie che servono gli impiegati degli uffici, alle mense. L’economia del turismo, dello svago, del tempo libero, come pure quella che dipende dai pendolari di aziende e università è ferma. E lo sarà a lungo. Niente feste di sera, niente prime comunioni, niente matrimoni. Così i grossisti, non potendo più contare sulla vendita di ingenti partite di merce, per preservare i loro guadagni fanno pagare di più la merce ai piccoli commercianti. La domanda non è calata nelle piazze rionali e neppure nei negozi di vicinato che, alla luce dei rincari della filiera, hanno ricavi modesti».
Nei momenti di crisi, però, il consumatore avrebbe bisogno di prodotti a costi calmierati, di garanzie, e non di essere stritolato nelle maglie della speculazione.
Conclude la presidente provinciale di Confesercenti: «Mi auguro che vengano effettuati i controlli su tutta la filiera. L’economia è in affanno, la ripresa sarà complessa. Spero che nessuna bottega che vende beni di prima necessità muoia per gli effetti del contagio della crisi. Ma nessuno deve approfittare dello stato di necessità. Sarebbe immorale».