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Calcio, l'allenatore: «Via i calciatori rissosi». Il club: «Te ne vai tu»

 
Gianluigi De Vito

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Gianluigi De Vito

Calcio, l'allenatore: «Via i calciatori rissosi». Il club: «Te ne vai tu»

Angelo Corti, tecnico del Rutigliano, squadra che milita in promozione, è stato messo alla porta dalla società che ha preferito tenersi i giocatori.... vivaci

Giovedì 17 Ottobre 2019, 13:22

18 Ottobre 2019, 17:14

Un allenatore nel pallone. Meglio: un allenatore finisce metaforicamente nel pallone per colpa letteralmente del pallone.
Ci arriviamo.

Chi l'ha detto che il destino sappia sempre dove andare a srotolare i panni? Piuttosto, la vita riserva assai spesso quel che non t'aspetti. E il ronzio della fregatura, che vorresti fosse solo un bruscolino da scacciare con una strizzatina di palpebra, si trasforma in un distacco di retina che ti lascia al buio senza nemmeno orizzonti di pensiero. È la vita? È il calcio.

La storia che fa riflettere, per l’eterogenesi dei fini, arriva dai campi minori che spesso ha sussulti maggiori rispetto al calcio stellare del barnum mediatico. Ed è una storia la cui sintesi perfetta è nel titolo di un cult degli Anni Ottanta, L’allenatore nel pallone, appunto. Non c’è un Lino Banfi che interpreta Oronzo Canà e nemmeno bizone e moduli marziani. Il paesaggio calcistico è comunque pugliese: i tendoni dell’uva di Rutigliano e le percoche di Canosa.

Il fatto: domenica scorsa, Canosa-Rutigliano, partita valida per la sesta giornata del girone A del campionato di Promozione Pugliese, finisce con la vittoria per tre reti a zero a favore degli ofantini. Fine gara da vergogna: è rissa. Impossibile un barometro della violenza; stabilire le gradazioni serve a poco. Fatto sta che un nugolo di calciatori da entrambi le parti mette in scena il peggio di sé. Le punizioni del giudice sportivo parlano da sole e pendono dal lato della «Rinascita Rutiglianese» (sì, il nome della squadra evoca resurrezione): quattro turni di squalifica a due dei quattro «rinati». L’allenatore dei granata dell’uva da tavola si chiama Angelo Corti. È sulla soglia dei quarant’anni, mastica pane e pallone da lustri e non passa affatto per uno con la patente dello sprovveduto.

Corti rincasa dalla rissa con la voglia di smarcarsi dal così fan tutti. Scrive un messaggio su un social media per dissociarsi dai «suoi» giocatori coinvolti nella rissa e ruggisce le dimissioni: l’indignazione non basta; nel circo massimo dei buoni- solo-a- parole è bene non perdere il frustino.

Corti fa di più: in un colloquio informale con i dirigenti della società chiede l’allontanamento dei rissosi, altrimenti non sarebbe rientrato in panca. Punirne quattro, per educare tutti.

Ammesso che le cose siano andate davvero così, quattro giocatori fuori in cambio di un allenatore dentro, è una condizione obiettivamente difficile da accettare per qualunque dirigente di club. Vero. Ma sarebbe davvero stata la più bella «Rinascita» e la decisione avrebbe fatto scuola.

Il club ha ringraziato il mister e ne ha accettato le dimissioni. Sicché quella catena di attimi etici che Corti ha pensato portassero anche i tiepidi a nuovi anticorpi contro il pugilato calcistico si è spezzata in maniera miserevole. E all’allenatore nel pallone non resta che pensarla come Ghandi: «Non si finisce mai di (ri)costruire se stessi». Specie tra tendoni d’uva e virgulti di percoco.

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