Sanità

Regione Puglia, case di cura: ma qualcuno controlla?

Massimiliano Scagliarini

Una clinica di Taranto fa interventi più complessi di S. Giovanni Rotondo: valgono milioni

BARI - Il meccanismo di rimborso della sanità privata si basa sui Drg, i «listini prezzi» delle prestazioni. Ciascuna prestazione ha un peso, un numerino che ne indica la complessità: più alta per la cardiochirurgia, più bassa per l’ernia del disco. La complessità media degli interventi effettuati in una data casa di cura è dunque un indice importante. Ebbene, analizzando i dati relativi all’anno 2017 che la Regione ha messo a disposizione degli operatori privati affinché elaborassero proposte di suddivisione dei tetti di spesa, emerge un dato incredibile. La San Camillo di Taranto, una piccola casa di cura, ha un indice di complessità chirurgica pari a 1,848, il 21% in più rispetto a Casa Sollievo di San Giovanni Rotondo. Ovvero del miglior ospedale di Puglia, dove si fa - tra l’altro - proprio la cardiochirurgia. Sarà proprio così?

I dati (di cui la «Gazzetta» offre qui uno spaccato) inducono qualche dubbio. Ma soprattutto, va ricordato che la San Camillo è la casa di cura cui la Regione ha chiesto di restituire 13,5 milioni di euro per prestazioni diverse da quelle realmente effettuate ai pazienti. In gergo si chiama «codifica opportunistica»: la San Camillo effettuava interventi di ossigeno-ozono terapia (che valgono 500 euro) e li classificava come interventi di ernia del disco (che ne valgono 8mila).
Quella all’esame dei giudici amministrativi (hanno nominato un primario romano affinché rifaccia i calcoli) è una contestazione che riguarda gli anni dal 2009 al 2013. Il nodo sono i controlli di appropriatezza sulle cartelle cliniche, che non venivano fatti perché il proprietario della San Camillo a - recentemente deceduto - impediva fisicamente l’ingresso degli ispettori (e per questo è stato anche condannato penalmente). Ma i dati esaminati dalla «Gazzetta» inducono a ritenere che, da allora, la situazione non sia molto cambiata. Vediamo.

La colecistectomia è l’asportazione chirurgica della cistifellea, ad esempio quando si formano calcoli. Si può fare aprendo l’addome, oppure (tecnica standard da 30 anni) in laparoscopia, cioè facendo solo quattro piccole incisioni. La tecnica tradizionale (dolorosissima) si usa raramente: in presenza di grave peritonite oppure di tumori. E le complicanze, in letteratura medica, coprono il 5% dei casi.

Ebbene, nel 2017 la San Camillo risulta aver effettuato il 74% degli interventi totali di colecistectomia con esplorazione del dotto biliare con complicazioni, ed il 52% di quelli senza complicazioni fatti dalle cliniche private pugliesi. Un po’ come dire che tre tumori della cistifellea su quattro vengono trattati a Taranto. Si tratta (come si vede in tabella) di Drg molto pesanti dal punto di vista economico. Viceversa, quando si tratta di colecistectomia laparoscopica, che è economica e semplice, la San Camillo è tra l’1 e il 2% del totale degli interventi . Non solo. Nel 2017 - sempre stando ai dati della Regione - si sono eseguite al San Camillo il 77% delle lisi peritoneali con complicazione fatte in tutta la Puglia: quelle fatte a Taranto sono costate 943mila euro sugli 1,2 milioni spesi in totale.

Per sapere se si tratta di anomalie o se a Taranto c’è una qualche strana epidemia servirebbero i controlli. Nella Asl Bari, per esempio, viene sottoposto a verifica quasi il 100% delle cartelle cliniche, e infatti i dati appaiono omogenei. E a Taranto? Il direttore generale Stefano Rossi risponde così: «Abbiamo contestato una serie di inappropriatezze che non paghiamo. La verifica viene fatta necessariamente a campione, anche perché a Taranto la realtà delle case di cura è molto complessa e sparsa sul territorio». Insomma, non è dato sapere quante cartelle sono state verificate dal 2013 ad oggi. Ieri mattina il caso della San Camillo è stato oggetto di una riunione in assessorato. «L’approccio - ha spiegato il capo dipartimento Giancarlo Ruscitti - è che non ci sarà nessuna tolleranza». Vedremo.

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