La storia

Tursi, l'eredità tradita di due fratelli sacerdoti

I loro beni sono andati al Comune, le volontà dei defunti erano per una Fondazione. La rivolta dei parenti

MASSIMO BRANCATI

Tutte le strade portano a Roma. E tutti i guai alla diocesi di Tursi-Lagonegro. Coinvolta nel turbinio delle accuse di un ex gigolò napoletano che ha svelato incontri gay tra sacerdoti, la diocesi retta dal vescovo Vincenzo Orofino vede spuntare dal passato la storia di un'eredità contesa.

E, si sa, quando c'è di mezzo un lascito in denaro (o beni da cui si può ricavare un guadagno), i litigi sono sempre dietro l'angolo, incombono perfino sullo scenario aulico-bucolico della famiglia targata Mulino bianco. Non fa eccezione la Chiesa che dalla cacciata dei mercanti dal tempio ha sempre vissuto un rapporto ambiguo con i soldi, rinnegando, anche prima che il gallo cantasse per tre volte, gli insegnamenti di Gesù e le indicazioni più recenti del Concilio Vaticano II. Tra il 1962 e il 1965, sotto i pontificati di Giovanni XXIII e Paolo VI, fu rinnovato l'impegno dell'istituzione cattolica alla solidarietà e alla povertà. Senza arrivare agli scandali dello Ior, la banca del Vaticano, e di don Euro, il prete che dilapidava i soldi dei fedeli in escort e lusso, la storia, soprattutto quella più recente, è costellata da vicende che vanno nella direzione diametralmente opposta.

Saranno pure lo sterco del diavolo, ma ai soldi e ai suoi “derivati” neppure la Chiesa vuol rinunciarci. Al punto da prevedere tariffe per la celebrazione dei sacramenti. Voglia o non voglia Papa Francesco. E se moneta e beni materiali arrivano dal passato non fa differenza. Come nel caso dell'eredità di due fratelli sacerdoti, Ferdinando Antonio e Salvatore Conte di Tursi che negli anni '90 lasciarono totalmente alla Curia di Tursi-Lagonegro, a cui chiedevano di istituire una Fondazione ad hoc, tutti i loro averi perché fossero utilizzati per realizzare un centro di spiritualità, di accoglienza dei laici cattolici, e un consultorio familiare per famiglie in difficoltà. Dopo essere passata all'incasso, nel 2007 la diocesi decise di dirottare il lascito al Comune di Tursi, deliberando lo scioglimento della stessa Fondazione. Sulla base di un non meglio precisato accordo con probabile annessa contropartita.

Di qui la rivolta degli eredi dei due religiosi che di recente hanno deciso di denunciare non solo il Vescovado ma anche il Municipio. Una questione puramente tecnico-burocratica (procedura di estinzione affidata a consiglieri nominati dall'allora vescovo mons. Nolé in maniera arbitraria) in cui si annida la rabbia della famiglia Conte per una volontà disattesa. Mortificata. Ignorata. Al centro della vicenda, in particolare, ci sono una corposa biblioteca, con testi sacri e non, e un palazzo, quello di viale Sant'Anna, a Tursi, dove da circa un anno trova posto la residenza socio-assistenziale per anziani non autosufficienti «San Giuseppe».

Al Tar è stato impugnato il decreto del Ministro dell’Interno in cui c'è l’annotazione dello scioglimento della Fondazione. E la storia è finita nel labirinto giudiziario, con gli immancabili difetti di giurisdizione, i ritardi, le competenze affidate al tribunale ordinario dove la causa dovrà continuare. Un percorso che, facile prevedere, verrà ultimato alle calende greche.
Massimo Brancati

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