Il caso

L'ecomostro a Sant'Agata di Puglia: «Lo abbattiamo? No: reati oramai in prescrizione»

Isabella Maselli

Chiuso il caso dell’immobile realizzato su un pendio a valle del viale XXIV Maggio. Quell’edificio è illegittimo, ma nessuno pagherà le conseguenze penali degli accertati abusi

BARI - La giustizia penale ha chiuso la vicenda ventennale dell’«ecomostro» di Sant’Agata in Puglia, in provincia di Foggia, immobile di nove piani realizzato su un pendio, a valle del viale XXIV Maggio. Quell’edificio è illegittimo, ma nessuno pagherà le conseguenze penali degli accertati abusi (al più ne risponderanno in sede civile) perché tutti i reati sono ormai prescritti.

La parola fine a questa storia iniziata nel lontano 2002 l’ha scritta la Corte di Cassazione, dichiarando «inammissibile» il ricorso dell’ingegnere Carmelo Mazzeo, progettista e direttore dei lavori. Diventa così irrevocabile la sentenza della Corte di Appello di Bari che due anni fa aveva già dichiarato la prescrizione dei reati, condannando però Mazzeo e l’allora responsabile dell’ufficio tecnico comunale, Giovanni Zelano a risarcire la parte civile Giuseppina Cutolo, costituita in sostituzione del Comune nella sua qualità, nel 2009, di consigliere comunale di minoranza. I giudici, però, avevano già revocato l’ordine di demolizione deciso in primo grado dal Tribunale di Foggia, ritenendo che tocchi all’amministrazione, alla quale gli atti sono stati trasmessi. E su questo la parte civile annuncia che darà battaglia perché l’immobile abusivo sia abbattuto.

Per comprendere questa vicenda è necessario ripercorrere le tappe che hanno accompagnato la realizzazione (tutt’ora incompiuta) della struttura residenziale panoramica con vista sulla valle da uno dei pendii più suggestivi dei monti dauni.

Il primo permesso di costruire viene chiesto ad aprile 2002 e il progetto ottiene a febbraio 2003 la concessione edilizia. I lavori vanno avanti a rilento, si susseguono proroghe e varianti (in parte anche queste ritenute illegittime), fino a quando, ad agosto 2009, l’allora consigliera comunale Cutolo, assistita dall’avvocato Federico Straziota, denuncia una serie di «anomalie» che poi anche i processi hanno accertato.

L’altezza dell’edificio costituisce il tema centrale della accertata illegittimità dell’intervento urbanistico: nove piani che si estendono verso l’alto per circa 30 metri a fronte dei 3 piani e 12 metri consentiti. In base ad una bizzarra interpretazione delle norme urbanistiche, venivano considerati come volume solo i tre piani a monte, «fuori terra», mentre tutti gli altri, anche quelli con balconi vista valle, era dichiarati come «interrati». Stando al progetto che aveva illegittimamente avuto il via libera degli uffici, cioè, l’immobile si componeva di soli tre piani. Basta vedere le foto per constatare che non è così.

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