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Foggia, avvocatessa morta dopo lo scontro in auto: l'Accusa rincara la dose

Redazione Foggia

Chieste due aggravanti per Francesco Pio Cannone, ventiduenne di Carapelle che era alla guida. L'incidente avvenne in pieno centro

FOGGIA - Essere fuggito dopo l’incidente stradale che costò la vita all’avvocato Carmela Di Pumpo; e aver indotto in errore i vigili urbani che eseguivano i rilievi per conseguire l’impunità dall’accusa di omicidio stradale: sono le due aggravanti contestate dal pm Roberto Galli nell’udienza preliminare a 4 foggiani coinvolti nel processo per la morte della venticinquenne foggiana. Il legale degli imputati, l’avv. Michele Sodrio, ha chiesto termini a difesa e il gup Antonio Sicuranza ha rinviato l’udienza all’8 gennaio per requisitoria pm, arringhe di parte civile (gli avv. Michele Curtotti, Michele Vaira e Giuseppe Pedarra) e difesa.

La tragedia avvenne in città la sera del 26 gennaio 2022 all’incrocio tra via Matteotti e via Urbano, dove si scontrarono la “Fiat Panda” guidata dalla vittima che da via Urbano si stava immettendo su via Matteotti; e la “Audi A4” proveniente da via Matteotti, condotta da Francesco Pio Cannone, 23 anni, foggiano, che era in compagnia di Rocco Pio Curci, 21 anni e Simone Rendine, 27 anni, entrambi di Carapelle. Francesco Pio Cannone che ha confessato d’essere il conducente della berlina, è imputato di omicidio stradale; e risponde anche di falso in concorso con il padre Michele Cannone di 53 anni, Curci e Rendine; questi ultimi due sono infine accusati anche di favoreggiamento per aver dichiarato ai vigili urbani che alla guida dell’auto c’era Michele Cannone che intervenne successivamente sul luogo dello scontro, e non il figlio. Conseguenza del presunto depistaggio è l’accusa di falso di cui rispondono i 4 imputati: aver indotto in errore i vigili urbani che in seguito alle dichiarazioni mendaci formarono inconsapevolmente atti falsi: fu infatti Michele Cannone e non il figlio a essere sottoposto alle analisi di routine in questi casi per verificare se avesse bevuto sostanze alcoliche e/o avesse assunto sostanze stupefacenti. Qualche giorno dopo l’incidente Francesco Pio Cannone si recò in Questura e ammise che era lui il conducente dell’’Audi.

Cannone ha chiesto (lo fece nell’udienza del 25 settembre) il giudizio abbreviato e la sentenza sarà pronunciata dal gup che sconterà di un terzo la pena: vista la confessione, la condanna pare scontata, tutto sta a quantificarla. L’avv. Sodrio punterà al minimo della pena. Secondo la consulenza disposta dal pm, l’Audi viaggiava a 90 km orari mentre il limite era di 50 km/h; la difesa sulla scorta di una propria consulenza replica che l’auto viaggiava tra i 66 e i 73 km/h e che lo scontro fu colpa anche di altre circostanze indipendenti dalla condotta di Cannone. Uno dei punti centrali su cui si concentreranno requisitoria e arringhe riguarda la stessa vittima; secondo la Procura le responsabilità di Cannone sono attenuate dal fatto che l’avv. Di Pumpo “non usò la massima prudenza nell’avvicinarsi all’incrocio a 20 km/h. e senza rispettare l’obbligo di precedenza”. Le parti civili replicheranno che non si può ipotizzare alcun concorso di colpa per quanto minimo da parte della vittima.

Ieri mattina erano previste requisitorie e arringhe. Ma in apertura d’udienza “il pm su sollecitazione delle parti civili” scrivono in una nota i legali dei familiari della Di Pumpo “ha contestato all’imputato Francesco Pio Cannone due nuove aggravanti: la prima è quelle prevista dall’articolo 589 ter del codice penale” (l’omicidio stradale) “per essersi l’imputato dato alla fuga dopo l’incidente, che eleva la pena da uno a due terzi e comunque non inferiore a 5 anni; la seconda, in relazione all’imputazione di falso, è la cosiddetta aggravante teleologica per aver indotto in errore la polizia urbana che rilevò le generalità del conducente dell’Audi, al fine di conseguire l’impunità dal reato di omicidio stradale”.

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