Il processo d’appello bis “Baccus”
Foggia, estorsione, usura e frode per i fondi UE: in agricoltura gli affari dei clan
La Cassazione ha ordinato un nuovo processo di secondo grado, annullando le 8 assoluzioni della corte d’appello di Bari
FOGGIA - C’è anche un pezzo della vecchia guardia della “Società foggiana” nel processo d’appello bis “Baccus” a 8 foggiani – tra cui il boss Vito Bruno Lanza - che nelle prossime settimane saranno processati per la quarta volta perché accusati a vario titolo di usura, tentata estorsione e associazione per delinquere finalizzata a una frode nel settore viti-vinicolo ai danni di Unione Europea e Erario, in alcuni casi con contestazione dell’aggravante della mafiosità per i metodi utilizzati e per aver agito per agevolare i clan. La Corte di Cassazione il 22 aprile 2021 ordinò la celebrazione di un nuovo processo di secondo grado, annullando le 8 assoluzioni pronunciate il 16 settembre 2019 con cui la corte d’appello di Bari ribaltò la sentenza del Tribunale di Foggia del 16 luglio 2015 che assolse una donna e condannò i 7 uomini a complessivi 30 anni e 9 mesi, con pene da 2anni e 3 mesi a 8 anni.
L’inchiesta Baccus di Dda, squadra mobile e Guardia di Finanza sfociò nel blitz dell’11 giugno 2012 con 24 arresti. Seguirono i processi divisi in vari tronconi a 28 imputati per 33 imputazioni (1 patteggiamento, 12 condanne, 1 assoluzione, 4 prescrizioni, 2 non luogo a procedere per morte degli imputati, 8 posizioni ancora sub judice) per due filoni di inchiesta: prestiti a usura a due imprenditori vitivinicoli di Foggia, talvolta seguiti da estorsioni e tentativi di estorsione; e una frode milionaria a Ue e Erario sull’asse Foggia-Emilia Romagna, attraverso un giro di false fatture con fittizie vendite di mosto da parte di cantine del Foggiano a un’azienda vinicola vicino Ravenna che scaricava costi, pagava meno tasse, intascava contributi comunitari; e restituiva ai finanziatori di Foggia, tra cui esponenti della “Società”, il denaro inviato al posto dl mosto e aumentato dell’Iva: l’aumento rappresentava il guadagno per gli investitori.
In attesa del nuovo processo d’appello a Bari ci sono anche Vito Bruno Lanza, 70 anni, detto “u lepre”, al vertice del clan Moretti/Pellegrino/Lanza, nome storico della “Società”, imputato in Baccus di concorso in usura, attualmente detenuto nell’inchiesta “Decima azione” con condanna a 8 anni per mafia in appello; Cesare Antonello, 63 anni, alias “Cesarone”, condannato per mafia nel maxi-processo Panunzio degli anni Novanta che sancì la mafiosità della “Società”, ora imputato di usura e tentata estorsione al debitore; Michele Carella, 80 anni, detto “Recchielonghe”, condannato negli Stati Uniti negli anni Settanta per possesso di un chilo di eroina, attualmente detenuto nel carcere di Opera di Milano dove sconta 10 anni per mafia e estorsione inflitti nell’inchiesta “Corona”, imputato in Baccus di usura e associazione per delinquere finalizzata alla frode.
L’elenco degli imputati prosegue con Luigia Lanza, figlia di Vito Bruno, e Pasquale Di Mattia che rispondono di concorso con il capoclan in usura; Teodosio Pafundi, Walter Cocozza e Alassandro Carniola coinvolti nel filone relativo alla presunta maxi-frode nel settore vitivinicolo. Gli 8 foggiani si dicono innocenti e il collegio difensivo (gli avv. Carlo Mari, Antonello Genua, Franco Metta, Paola Tortorella, Valerio Vinelli, Gianluca Ursitti, Rosario Marino) punta alla conferma delle assoluzioni. Parte civile la fondazione antiusura Buon Samaritano con l’avv. Enrico Rando.
La corte d’appello ha deciso di riaprire l’istruttoria dibattimentale e interrogare uno dei testimoni chiave dell’inchiesta Baccus, Francesco Battiante imprenditore vitivinicolo vittima di usura, e un suo familiare. L’inchiesta poggia anche su quanto rivelò l’imprenditore durante le indagini preliminari, poi imputato nel filone relativo alla frode a Ue e Erario. Nel processo di primo grado Battiante si avvalse della facoltà di non rispondere alle domande quale imputato in reato connesso: il Tribunale di Foggia acquisì le dichiarazioni rese durante le indagini ritenendo che Battiante avesse subito minacce, e anche sulla scorta di quei verbali inflisse le condanne. La corte d’appello di Bari invece concordò con la tesi difensiva, ritenendo che non ci fossero prove di pressioni e minacce sui testimoni per cui le dichiarazioni delle indagini preliminari non potevano essere valutate: da qui le assoluzioni. La Cassazione accogliendo il ricorso della Procura generale di Bari ha annullato il verdetto assolutorio e ordinato il nuovo processo.