lotta al crimine

Piantedosi a Foggia: focus sulla quarta mafia nella terra senza tribunali

Redazione Foggia

Lunedì il ministro dell’Interno presiederà il comitato provinciale convocato dal prefetto Valiante con i procuratori della Dda e del Tribunale foggiano

FOGGIA - Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, sarà a Foggia lunedì alle ore 10, quando presenzierà in Prefettura il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, convocato dal prefetto Maurizio Valiante, cui parteciperanno, tra gli altri, il procuratore della Repubblica Dda (Direzione distrettuale antimafia) di Bari Roberto Rossi e il procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Foggia Ludovico Vaccaro. Al termine del comitato, alle ore 11, è prevista la sottoscrizione del Patto per la sicurezza urbana per il comune di Foggia.

Alla vigilia dell’arrivo in città del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi per presiedere una riunione del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza (quinto titolare del Viminale a farlo dal 2010 a oggi), da dove partire per raccontare la situazione della vertenza sicurezza nella terra della “quarta mafia” d’Italia, nella città dove comanda la “Società foggiana” definita nel 2020 dall’allora procuratore nazionale il primo nemico dello Stato? Ricognizione lunga, complessa, difficile: la storia del crimine in Capitanata si dipana lungo un arco di tempo lungo quarant’anni, periodo nel quale la criminalità ha avuto tempo e modo per irrobustirsi, radicare il suo sistema mafioso nel territorio, strutturarsi in una sorta di compartecipazione con le vittime che silenti (la gran parte) si sono piegate.

Partiamo allora dalle notizie buone - a voler essere ottimisti - e perché in fondo si fa prima, essendo (purtroppo) poche: calo dei reati stimato nell’ordine del 5.4% a ottobre 2022 con 19 mila denunce nei 61 comuni della Capitanata; maxi-sequestri di cocaina, oltre 84 chili di stupefacenti sequestrati nel 2022 (ma per ogni chilo rinvenuto, 10 chili transitano via…); 29 blitz con 223 foggiani arrestati, e che spaziano dalla droga al racket, dalle rapine al riciclaggio d’auto rubate, dal caporalato al traffico di rifiuti (ma nessun blitz antidroga in città); potenziamento dei presidi di sicurezza degli ultimi anni con Dia, reparto prevenzione crimine, Ros, cacciatori di Puglia con 2400 presenze di forze dell’ordine sul territorio (ma un solo Tribunale contro gli otto presidi giudiziari del 2013); la vita salvata dalla squadra mobile a un costruttore che doveva essere ucciso in città da un clan; i boss tutti in carcere (com’è possibile che da decenni siano sempre i soliti sospetti nonostante arresti e condanne).

Ma nel complesso il quadro che si presenta al ministro è a tinte fosche; e la “indebolita” - rispetto al passato - capacità delle forze dell’ordine di comunicare quanto di buono si fa (solo 750 arresti resi noti, buio assoluto su numeri del crimine) accentua il senso di insicurezza dei cittadini. Piantedosi lo sa bene quale sia la realtà foggiana, a metà gennaio in un’intervista in tv ha detto: «La mafia foggiana si sta caratterizzando per l’esercizio di una violenza fisica e talvolta eclatante: da questo punto di vista è quella che più si avvicina alla mafia corleonese». Quella di Totò Riina e Bernardo Provenzano che nella mattanza dei primi anni Ottanta uccise mille persone a Palermo, mentre a Foggia in quarant’anni di vita e morte della “Società” si contano una settantina di cadaveri.

A Foggia dal 2020 a oggi si sono contati sei omicidi di mala tutti irrisolti; il capoluogo dauno e la provincia sono al secondo posto in Italia per omicidi impuniti; Foggia è inoltre all’11° posto in Italia, il secondo comune nel Sud, tra le città meno sicure; Foggia, ancora, figura al 100° posto su 107 alla voce Giustizia e sicurezza della classifica del “Sole 24 Ore” sulla qualità della vita; ed al 103° in quella di “Italia Oggi”. A Foggia e provincia sono stati censiti 30 clan dalla Dia in tutto il suo vasto territorio.

Sempre a Foggia c’è il secondo capoluogo della storia d’Italia dove il consiglio comunale è stato sciolto nell’estate 2021 per infiltrazioni mafiose, quinto comune del Foggiano in pochi anni a subire questa vergogna che è fotografa lo stato delle cose. Qui i clan incassano 220mila euro al mese da pizzo e droga, come rivelato da un pentito (ma nel 2022 solo 9 arresti per estorsioni aggravate dalla mafiosità e 3 di mafiosi per spaccio). Qui «la mafia si fa Stato», disse il procuratore generale della corte d’appello di Bari a gennaio 2018. «Qui c’è un’emergenza nazionale perché la violenza della mafia rurale si sposa con l’intelligenza della mafia degli affari», analisi del capo della Dda di Bari di febbraio 2022. «Qui c’è un’arretratezza culturale che c’era a Palermo negli anni Ottanta: la gente non denuncia e collabora poco, non si avverte la Giustizia come strumento per lavorare al bene comune», parole recenti del procuratore capo del capoluogo dauno. Questa è la terra «attraversata da gravi episodi criminali dei quali non c’è ancora consapevolezza», secondo il nuovo procuratore nazionale antimafia, il foggiano Giovanni Melillo. Qui dove «la situazione è un unicum nazionale perché si continua a sparare per intimorire lo Stato», intervista di un anno fa del direttore della Dia. Qui dove la mafia «è come la ‘ndrangheta e più efferata della ‘ndrangheta” nelle analisi della Dia, dove si parla sempre più spesso di “una borghesia mafiosa, il mondo di mezzo, la zona grigia, il punto d’incontro in cui convergono interessi della criminalità e di esponenti infedeli dell’’imprenditoria e della pubblica amministrazione».

Qui la commissione parlamentare antimafia nell’ultima relazione ha preso atto di una situazione grave e di una risposta ancora insoddisfacente della società civile nell’opporsi alla Società mafiosa. Qui dove si parla negli atti giudiziari di ”estorsione ambientale” e “metodo Foggia”, come scritto dal Gup di Bari che lo scorso ottobre ha inflitto 203 anni a 28 signori del pizzo: «I mafiosi si pongono in modo amichevole nei confronti delle vittime, come interlocutori benevoli, creditori disponibili, pazienti, disposti a concedere un piccolo sconto ma inflessibili nella riscossione del pizzo», con i taglieggiati che pagano (rarissime le denunce) e arrivano anche a informare gli estorsori delle indagini a loro carico.

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