Criminalità

Foggia, sventato l'agguato a un imprenditore: fermato un uomo armato

Redazione Foggia

Il presunto omicida bloccato dai carabinieri, aveva una pistola con il colpo in canna

FOGGIA - Perché Giuseppe Bruno, trentenne foggiano già noto alle forze dell’ordine, e il presunto complice si sono presentati armati nell’azienda agricola foggiana? A cosa doveva servire la pistola col colpo in canna e il cane armato poi sequestrata dai carabinieri? E’ stato sventato un avvertimento o un vero e proprio agguato, come ipotizzerebbe l’accusa? E chi c’era con l’indagato, ed è riuscito a scappare a piedi dopo un iniziale tentativo di fuga sul motorino? Interrogativi che sorgono dopo l’arresto in flagranza di Bruno per concorso con ignoti in porto e detenzione illegale di una pistola calibro 7.65, oltre che per resistenza a pubblico ufficiale ed evasione dai domiciliari, cui era sottoposto da qualche mese dopo il coinvolgimento in passato in un attentato dinamitardo e il possesso di armi e droga.

Interrogato dal gip Antonio Sicuranza, Bruno si è avvalso della facoltà di non rispondere: è difeso dagli avvocati Paolo Ferragonio e Claudio Caira. Il giudice ha accolto la richiesta del pm e lasciato in carcere l’indagato vista la gravità dei fatti peraltro commessi da una persona che era sottoposta agli arresti domiciliari. «La pistola sequestrata doveva essere certamente utilizzata nei confronti della vittima - scrive il giudice nell’ordinanza cautelare, sottolineando come sia verosimile - che Bruno e il suo ignoto complice avessero ricevuto l’incarico di uccidere l’imprenditore, non potendosi interpretare diversamente il fatto che l’arma ritrovata non solo aveva il colpo in canna, ma presentava anche il cane alzato».

Il giovane è al quarto arresto in 10 anni. Fu coinvolto il 20 novembre 2012 nel blitz Hurt Loker della squadra mobile con 5 arresti (anche 2 capimafia) per tre attentati dei mesi precedenti; Bruno accusato di detenzione di esplosivo e danneggiamento, era sospettato d’aver agito su ordine di un capo-clan che voleva vendicarsi per ragioni personali di due dei tre titolari di attività commerciali (il terzo fu colpito per sbaglio). I processi ridimensionarono l’ipotesi accusatoria, il boss fu assolto e Bruno condannato a 5 anni ridotti in appello a 3 anni “solo” per il terzo attentato in una pellicceria: l’imputato confessò d’aver fatto esplodere l’ordigno venendo filmato durante il raid per vendicarsi per questioni private di un familiare del commerciante.

Secondo arresto di Bruno con scarcerazione poche ore dopo, il 25 gennaio 2020 dopo che in un podere i carabinieri sequestrarono marijuana e bombe-carta. Il terzo arresto è datato 2 novembre 2020 quando la squadra mobile ritrovò in un podere tre pistole, un fucile e 60 piante da cui ricavare marijuana, con successiva condanna a 3 anni e 4 mesi. Per queste vicende Bruno era ai domiciliari con facoltà di uscire di casa per andare a lavorare.

Invece l’indagato la mattina del 23 settembre – dice l’accusa - si sarebbe recato con un presunto complice in un’azienda agricola. I due centauri con caschi sul volto avrebbero chiesto del titolare, fuggendo poi con lo scooter “Yamaha T max” alla vista dei carabinieri che hanno piazzato un posto di blocco in mezzo alla carreggiata. Il conducente del motorino ne ha perso il controllo dopo aver urtato l’auto dei carabinieri, cadendo e venendo bloccato; il passeggero è fuggito a piedi. Bruno aveva un borsello a tracolla con 3500 euro; accanto allo scooter è stata ritrovata la pistola (i carabinieri l’avrebbero vista cadere a poca distanza dai due motociclisti): si tratta di una “Beretta calibro 7.65” con colpo in canna, cane armato e altri sei colpi nel caricatore.

Se davvero i due centauri dovevano uccidere l’imprenditore come ipotizza l’accusa, pur se l’imputazione nei confronti di Bruno è di concorso con ignoti nel porto e detenzione illegale di una pistola, si tratterebbe del secondo agguato sventato in città in tre mesi dalle forze dell’ordine. Il precedente risale al 26 giugno, quando agenti della sezione criminalità organizzata della squadra mobile prima salvarono la vita al costruttore Antonio Fratianni, evitando che quella sera transitasse per il casello industriale dell’A/14 dove c’era un commando con 3 persone armate pronto a ucciderlo perché lo accuserebbe di non aver restituito soldi ricevuti da un clan mafioso per investirli; poi il 22 luglio fermarono su decreti della Dda 6 foggiani – tra cui il presunto capo clan Emiliano Francavilla – accusati di tentato omicidio aggravato dalla mafiosità.

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