società
Il Natale che arriva tra armi, guerre e delinquenti cibernetici
Nessuna trasparenza, la disinformazione è calcolata, forse su alcuni punti concordata, mentre si continua a far la guerra
Il Natale, che arriva. La gioia dell’attesa, nella speranza della natività, cioè di vita nuova, che comunque si può cercare ogni giorno. Speranza disattesa, intanto, nell’anno giubilare che finisce. Tutt’altro che un anno speciale, come l’aggettivo festoso avrebbe lasciato immaginare, senza pace interiore, né universale, in un clima impoverito, anche incattivito o peggio indifferente, concentrato sull’avere, piuttosto che sull’essere. Evocando Erich Fromm: «L’uomo che non può creare, vuol distruggere». Benchè ai tempi dello psicoanalista tedesco i vari Putin o Trump fossero solo ragazzi.
Alle latitudini di guerra ci si stringerà in un abbraccio, perché la sofferenza esalta il valore della vita, anche se l’odio l’ha distrutto e non bastano a cancellarlo le generazioni (nel mondo sono in corso quasi sessanta (59) conflitti, con 78 Stati coinvolti, anche al di fuori dei propri confini e una ventina di Paesi, che hanno superato i mille morti, mentre in quelli più visibili, come Gaza, l’Ucraina e il Sudan, le vittime si contano in decine di migliaia). Sulle stanche società occidentali, nella bolla del consumismo digitale, gettano le reti, invece, i nuovi delinquenti cibernetici. La versione criminale dei furbi che raggirano gli ingenui, in maggioranza nei popoli, preparando i pacchi regalo per le feste di Natale. È una tendenza accertata, in crescita da qualche anno, per il 2025 prevista su livelli altissimi. Si annunciano picchi di fishing , (false mail di corrieri o negozi), i malware(minacce), i ransomware (ricatti) nascosti nelle offerte ingannevoli, le truffe legate alle spedizioni, usando naturalmente anche l’intelligenza artificiale. Ci saranno poi i furti d’identità e i conti clonati. Di fronte alla criminalità informatica, qualche accorgimento si può trovare: verifica dei siti, controllo degli estratti conto, delle password, sana diffidenza nei confronti delle promozioni esagerate e non richieste, esclusione delle reti Wi-Fi pubbliche, ecc; ma nell’assenza colpevole di qualsiasi formazione apprestata allo scopo, per i più non sarà facile. In fondo, anche i delinquenti hanno famiglia.
Se invece si trattasse di guerra ibrida? Vale a dire di quella strategia per colpire il nemico, aggiungendo all’uso delle armi convenzionali, strumenti economici, psicologici, cibernetici e la disinformazione? Ci sono stati sorvoli di droni non identificati sui cieli europei, che hanno comportato effetti sul traffico aereo e chiusure temporanee di aeroporti, esercitazioni russe non lontane dalle frontiere europee del nord, mentre sottomarini e navi russe incrociano nel Mediterraneo. Si ripetono gli attacchi quotidiani informatici su larga scala contro i paesi europei, attribuiti sempre ai russi. E sabotaggi. In aggiunta, le dichiarazioni minacciose da parte di Mosca, alle quali da ultimo si sono aggiunte le informazioni di intelligence americana, che parlano di un progetto di conquista europea dello Zar.
Addirittura, la traduzione in inglese di guerra ibrida, cyberwarfare, per l’occasione è stata modificata in cyberChristmas. Allora? Nemico? Guerra? Se ne stanno evocando i fantasmi in Europa, proprio in questi giorni che portano al Natale. Ma cosa significa, se non la denuncia dei limiti della politica? L’Unione Europea sembra non farcela, prigioniera del sistema che ha creato e che non sa rinnovare. Al momento, resta soltanto quella singolare anomalia, che ha saputo allargare i propri confini pacificamente, unico esempio nella storia, con la sola forza dei principi e degli interessi condivisi, esempio di una comunità di scopo sulle rovine della guerra. Di nuovo guerra? Sono tornati a parlarne di recente la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, il segretario della Nato, Mark Rutte, il presidente francese Macron, il premier polacco Tusk, anche, di nuovo, il ministro della difesa, Crosetto, che con il presidente Mattarella ha rivolto in video collegamento gli auguri natalizi a tutti i militari italiani.
Il ministro ha ribadito la sua visione: «Mai tanta instabilità, dai tempi del II conflitto mondiale». È la chiave per giustificare il forte incremento della spesa in armi a scapito della spesa sociale, nella povertà delle risorse, dopo il benservito di Trump, mentre dilagano, sponsorizzati dall’amministrazione americana e da Mosca, i partiti fondamentalisti di destra, neonazisti e fascisti, che tante simpatie stanno raccogliendo nella vecchia Europa? Può essere, magari in parte. La minaccia, che pure c’è, se non fosse funzionale solo alla congiuntura, ovvero alla fine della guerra in Ucraina, alle condizioni di Mosca (una guerra comunque non vinta dai russi) potrebbe crescere. Ma la deterrenza non basterebbe, serve un ruolo forte della diplomazia.
Nei due anni di bombardamenti a tappeto sulla piccola enclave palestinese di Gaza, attaccata anche sul terreno dai carri israeliani, nella risposta smisurata al pogrom del 7 ottobre, si è verificato «l’automation bias» ovvero l’eccessiva fiducia nelle armi gestite dall’intelligenza artificiale, che ha provocato danni collaterali gravissimi (decine di migliaia di vittime innocenti) senza scrupolo alcuno. È stata la prova generale delle potenzialità tecnologiche delle armi di nuova generazione, grazie al poderoso supporto delle multinazionali del Big Tech (Alphabet, Apple, Meta, Microsoft) che in apparenza hanno lasciato le mani pulite a chi le ha adoperate, provocando invece effetti devastanti, ripetibili da remoto nei contesti più diversi. Anche nei casi dei cosiddetti omicidi mirati (targetedkillings) vietati dal diritto internazionale, si è provocata una destabilizzazione di lungo periodo, in una guerra diventata permanente. Ha fatto il resto la propaganda, pagata dentro e fuori i confini.
E nello scenario Ucraino, che vede il set trasferito oggi in Florida su tavoli separati (americani/russi -americani/ucraini), sulla spinta del presidente Trump, tra minacce e blandizie, con attori che si alternano sulla scena, cui potrebbero aggiungersi i volenterosi ( Macron, Starmer e Merz), è la propaganda che la fa da padrona, mentre il presidente ucraino Zelensky arriva a definire il tycoon: «il solo che possa portare la pace». Le trattative si fermano, poi accelerano, anche qui quasi una prova generale di nuovi scenari bellici probabilmente più vicini di quanto non si immagini, favorendo nuove sintonie, se non impossibili contrapposizioni. Nessuna trasparenza, la disinformazione è calcolata, forse su alcuni punti concordata, mentre si continua a far la guerra, con la splendida Odessa, la città più europea dell’Ucraina, lasciata sotto le bombe. E nel club ristretto dei più forti, dove si discute da posizioni di forza, Trump alza la posta anche nei confronti della Cina. Ha appena disposto una nuova vendita di armi alla piccola repubblica di Taiwan, che Pechino considera parte integrante del proprio territorio. Si tratta della fornitura più importante mai decisa dagli Stati Uniti, con sistemi missilistici Himars, (acquistati anche dall’Italia per un valore di 1 miliardo circa) e droni per la modica cifra di 11,15 miliardi di dollari. L’abituale flemma dei cinesi è saltata. La reazione è durissima, lo scenario dell’Indopacifico, che brulica di armi, in allerta. Potrebbe essere la tattica di uno spregiudicato giocatore, ma Trump indossa i panni di un presidente. Rischiamo tutti e il gioco non ci piace. Auguri!