L'analisi
Tatiana, la corsa e l’informazione finita in mansarda
Ora, a Tatiana, che a 27 anni si è rinchiusa in una mansarda, devono chiedere scusa innanzitutto i giornalisti che giovedì sera l’hanno data per morta in una campagna di Nardò. Anzi, le scuse non bastano
Ora, a Tatiana, che a 27 anni si è rinchiusa in una mansarda, devono chiedere scusa innanzitutto i giornalisti che giovedì sera l’hanno data per morta in una campagna di Nardò. Anzi, le scuse non bastano.
Di corsa, solo per arrivare prima di altri nella giostra impazzita dell’on line, tanti si sono affrettati a parlare del suo cadavere. Deve chiedere scusa anche l’inutile Ordine dei giornalisti, che è custode di un codice deontologico in base a cui i giornalisti, che partecipano a corsi di formazione e devono accumulare punti in tre anni (come quelli che ti danno lo sconto ai supermercati quando vai a fare la spesa), devono attenersi ad una semplice regola: verificare le notizie che arrivano a pioggia su qualsiasi pc prima di darle ai lettori.
Il «Corriere della Sera», per inseguire i follower impazziti, i curiosi di «Chi l’ha visto», gli internauti dei social e quel mondo virtuale che ti aumenta i click sul tuo sito a scapito delle notizie verificate, ha battuto giovedi sera la notizia del ritrovamento del cadavere di Tatiana, con tanto di indicazione della contrada neretina. Primo titolo, home page del più autorevole giornale nazionale. A cascata, tutti gli altri, nel susseguirsi di una colossale fake news. Una folla di residenti, diffusa la voce e giustamente inferociti, ha cominciato ad assediare i malcapitati carabinieri che cercavano la ragazza per chiedere loro lo scalpo del presunto killer, l'amico che invece la teneva nascosta e viva. Domanda: domattina, «il Corriere della Sera» - e chi l’ha seguito o preceduto di poco nella folle corsa web - avrà la stessa credibilità e affidabilità che si porta dietro dal 1876 o i lettori non faranno più alcuna differenza con «Lercio.it», noto sito di fake news dichiarate come tali?
Ci permettiamo di suonare la sveglia al presidente dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Bartoli. Il mondo dell'informazione è impazzito da anni e, nel frattempo, chiunque scrive quello che gli pare: sui siti, sui social, sulle radio, sui podcast o sulla carta igienica. Lo fanno (quasi) tutti, comprese le testate «di qualità», quelle che dovrebbero seguire le regole dell’Ordine e studiare i suoi codici deontologici. Dunque, a cosa serve l'Ordine professionale che dal lontano 1963 è custode della «qualità» dell'informazione a tutela dei lettori-cittadini? Se tutti gli italiani, compresi i residenti di Nardò, sono solo follower da conquistare e accontentare con quello che chiede la «pancia» del web, si può pretendere dagli editori dei giornali di sostenere un’informazione che costi di più, come prova a fare il sindacato dei giornalisti col rinnovo del contratto? O che garantisca autenticità e verifica delle fonti a tutela dei lettori, come rivendica l’Ordine professionale ripudiando i blogger?
Domande, solo domande. Nel frattempo l’ultimo degli iscritti all’Ordine chiuda la porta... nella mansarda non ci è finita solo la povera Tatiana, ma un’intera categoria professionale. Quella della (presunta) informazione.