L'analisi

L’«inverno» della Puglia fra calo demografico e lo spettro dell’ex Ilva

Onofrio Introna

A gennaio 2025 erano 58.921.445 i residenti dalle Alpi a Lampedusa (dati provvisori), in ulteriore riduzione rispetto alle 58.925.596 unità registrate dall'Istat il 31 agosto precedente

È pieno inverno demografico in Italia, per quanto non sia ancora stagione. A gennaio 2025 erano 58.921.445 i residenti dalle Alpi a Lampedusa (dati provvisori), in ulteriore riduzione rispetto alle 58.925.596 unità registrate dall'Istat il 31 agosto precedente.

Secondo le ultime stime, in Italia la popolazione resta in calo: persi 9mila connazionali nei primi otto mesi del 2025, la natalità risulta in ulteriore flessione, i decessi sono stabili, i movimenti migratori rallentano. Risultato: il quadro demografico aggiornato dall’Istat mostra un Paese che continua a ridursi e ad essere caratterizzato da un forte invecchiamento e le proiezioni a medio termine stimano un ulteriore spopolamento. Gli italiani potrebbero ridursi a 54,8 milioni nel 2050, addirittura 46,1 milioni nel 2080. Se «Sparta piange», la Puglia non si sottrae al trend negativo del saldo tra nati-morti ed emigrati-immigrati: 3.872.412 le cittadine e i cittadini nella regione, alla fine del primo mese dell’anno in corso. Le nascite (1.959 in Puglia a gennaio), sono nettamente inferiori ai decessi (4.076). Se 5.541 nuovi pugliesi sono «entrati», 6.510 si sono trasferiti (quasi mille in più) e se 1.922 sono arrivati dall’estero, 590 sono usciti dai confini nazionali. La stampa locale mette tutti sull’avviso e non da oggi: «La Puglia rallenta». Infatti, lo spopolamento incide sull’economia regionale: nel primo semestre 2025, il nostro PIL è cresciuto solo dello 0,3%, con segnali in controtendenza arrivati solo dal settore delle costruzioni, spinte dagli investimenti del Pnrr e dal turismo, con l’aumento di arrivi e presenze. Persiste il giustificato timore che nel momento in cui terminerà il periodo a suo modo da «vacche grasse» del Pnrr, si tornerà alle risorse storiche, ai trasferimenti dal Governo nazionale alle Regioni, a meno che non s’inventino qualcos’altro in Europa, per sostenere il Mezzogiorno in affanno.

Continua nei quotidiani un’attenta e sempre allarmata lettura dell’esodo dei giovani dai 18 ai 35 anni e questo calo demografico si lega anche al problema delle donne che non riescono a conciliare la vita con il lavoro e non si sposano, non mettono al mondo figli. Ormai, ci sono due anziani a bambino. Il problema è di tutto il Paese, ma nel Sud è sempre la stessa storia, diventa tutto più esasperato, più grave, incidendo su condizioni di base più disagiate. S’è vero che dal Nord molti giovani vanno a vivere in altri Stati, per un settentrionale che va via due meridionali salgono verso le regioni del Centro Nord. Non c’è dubbio che la denatalità interessi in qualche maniera anche l’Europa. Dipende, quasi sicuramente, dallo sviluppo e dal benessere diffusi ormai da decenni. Hanno anestetizzato le popolazioni di Paesi dove non si stringe certo la cinghia per sopravvivere e non sono necessarie nuove braccia per assicurare il futuro a famiglie e comunità. Il vecchio continente riposa tranquillo e non fa più molti figli, non cresce. Anche questo va considerato. Anche Bankitalia denuncia: «Economia pugliese debole. La regione cresce poco», PIL allo 0,3%, occupati in flessione. Poi c’è la Svimez: «Il Sud cresce sopra la media, ma salari bassi, via 19.000 laureati in 4 anni». «La Puglia perde giovani e lavoro qualificato».

In una regione meridionale adriatica gelata dall’inverno demografico resta sempre lo spettro dell’Ilva, spaventoso, sullo sfondo. Più i giorni passano, più si allontana il rilancio di questa mega azienda. Lo Stato sta mollando? Ha deciso di chiudere il siderurgico? Aspetta una grazia della Cielo? Una notizia confortante arriva da Decaro. Nella Giunta in via di formazione, il presidente neoeletto della Regione sarebbe orientato orientato ad istituire un Assessorato all’ambiente e all’Ilva da assegnare ad una personalità di grande competenza. Una delega specifica, per una materia tanto delicata e complessa. Significa quindi, come annunciato in campagna elettorale, che nel programma degli impegni da presidente di Antonio resta prioritaria una grande attenzione a Taranto, all’ecosostenibilità, ai cittadini, all’Ilva e ai lavoratori dell’Ilva, coniugando tutti i problemi secondo una visione responsabile e ragionevole. I Sindacati non stanno a guardare e la segretaria generale Cgil Gigia Bucci ha riportato in ballo «la fissa» del Governo Meloni per l’Autonomia differenziata, tanto pretesa dalle Regioni padane e dalla Lega, alleata col «muso lungo» nella coalizione di centrodestra, per via del proprio risultato insoddisfacente nelle urne in Puglia e Campania. Il Veneto sta già mettendo in campo negoziati con Roma, per ottenere competenze nella gestione di diverse materie. Un recente accordo preliminare della Regione con il ministro Calderoli ne mette a fuoco quattro: sanità, protezione civile, professioni e previdenza complementare.

È una manica di pazzi, l’Italia soffre, perde remi e rematori e quelli corrono, sapendo che l’iter è ancora lungo e complesso. Volete l'autonomia a tutti i costi? Fatela e chiudiamo tutto. Andiamo ai saldi. Il Mezzogiorno e la Puglia - che l’Europa voleva rendere la propria piattaforma avanzata nel Mediterraneo nel dialogo con i Paesi del Medioriente, dell’Africa e dell’Asia - finiranno per diventare una landa desolata. Non potendo morire d’inedia, finirebbe per porsi ai fini della sopravvivenza a totale carico dell’Italia e di Bruxelles. Non vedo a questo punto cosa avrebbero da guadagnarci a Nord. Non sarebbe meglio un Sud performante, orgoglioso di crescere, non più piagnone?

Quello è il nostro «we have a dream», il sogno di un Mezzogiorno sviluppato, prospero, ricco. Dove si firma per una nuova Magna Grecia? Non vedo l’ora.

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