società
Viva il volontariato: l’altruismo è rivoluzionario
In un mondo che premia la visibilità, anche la generosità rischia di diventare un algoritmo. Eppure, anche in questa ambiguità, c’è un potenziale
Un ragazzo si riprende con lo smartphone mentre distribuisce pasti ai senzatetto. Sorride, aggiunge un filtro caldo, scrive: «Essere umani, sempre». Il video riceve 14.000 like. Poi ne pubblica un altro, in cui racconta come quell’esperienza l’abbia fatto crescere.
È un atto nobile, certo. Ma è anche un copione, una rappresentazione. Come ci ha insegnato Erving Goffman, la vita sociale è fatta di palcoscenici. Anche l’altruismo, oggi, rischia di diventare una performance. Viviamo in un tempo in cui l’empatia si misura in visualizzazioni e l’impegno sociale si esibisce più che si racconta. Eppure, c'è qualcosa di profondamente umano anche in questo: il bisogno di essere visti mentre si fa il bene, di confermare il proprio valore non solo agli altri, ma anche a se stessi.
In Italia, secondo l’Istat, oltre 6,5 milioni di persone hanno svolto attività di volontariato nel 2022, pari al 12% della popolazione. Un dato enorme, che racconta una generosità diffusa, ma anche una trasformazione. Non è più solo il volontariato silenzioso della parrocchia o della Croce Rossa. Oggi il volontariato è anche digitale, internazionale, professionale, competitivo. Lo si fa per aiutare, ma anche per crescere, migliorare il proprio CV, sentirsi parte di una comunità che condivide valori. E non è detto che ci sia qualcosa di sbagliato in questo.
Secondo i dati Istat 2023, il 31,1% dei volontari italiani si impegna perché condivide gli ideali dell’organizzazione, mentre il 21,5% lo fa per contribuire al bene comune (Fonte: Istat, 2023). Accanto a queste motivazioni collettive, ci sono anche ragioni personali: molte persone trovano nel volontariato un modo per sentirsi utili, costruire relazioni, uscire dalla solitudine. Autorealizzazione e altruismo non sono opposti: sono spesso intrecciati, come due facce della stessa medaglia.
Secondo il rapporto 2023 di CSVnet, le organizzazioni di volontariato attive in Italia sono circa 47.000, con oltre 5.000 nuove associazioni nate solo negli ultimi cinque anni. Il 55% dei volontari ha meno di 35 anni: un segnale importante, che smentisce lo stereotipo di una gioventù disimpegnata.
Il problema nasce quando la solidarietà si svuota di contenuto e diventa scenografia dell’io. Quando l’altruismo si misura in post e il bene si fa solo se è condivisibile. In un mondo che premia la visibilità, anche la generosità rischia di diventare un algoritmo. Eppure, anche in questa ambiguità, c’è un potenziale. Se milioni di persone agiscono, anche solo in parte, spinte da un bisogno di senso personale, il risultato collettivo può comunque essere potente. Si costruiscono scuole, si riducono le disuguaglianze, si crea comunità. A volte, fare del bene agli altri è anche un modo per salvare se stessi. In fondo, come ha ricordato Sergio Mattarella, «il volontariato è un motore di democrazia. Non è solo generosità: è responsabilità verso la comunità a cui si appartiene». Ed è proprio questa responsabilità - individuale ma anche collettiva - a distinguere la scena dal senso, l’apparenza dal cambiamento reale.
La vera sfida è allora coltivare un altruismo che non rinneghi la propria componente identitaria, ma che sappia andare oltre la vetrina. Che faccia della condivisione un ponte, non uno specchio. Un altruismo che riconosce il bisogno di essere visti, ma non si esaurisce nello sguardo degli altri. Se l’altruismo diventa un selfie, l’empatia rischia di diventare un filtro.
Ma la buona notizia è che, anche nei like, può nascondersi una scintilla di umanità vera. Sta a noi riconoscerla, coltivarla, non sprecarla. Venerdì 5 dicembre celebriamo la Giornata Internazionale del Volontariato. Un’occasione per dire grazie, ma anche per interrogarci su cosa significhi davvero «fare il bene» oggi. Tra ego, empatia, filtri e gesti concreti, l’altruismo resta una delle poche rivoluzioni quotidiane ancora possibili.