la manovra

La gestione oculata delle risorse e l’alleanza tra pubblico e privato per aiutare la crescita economica

Francesco Giorgino

Il valore pubblico, così come già avviene per il settore privato, può generare un significativo impatto sul Paese, diventando leva di crescita e sviluppo

Il dibattito tra maggioranza e opposizione sulla natura della manovra economica è fuorviante e fine a sé stesso se la riflessione non viene collocata dentro il più ampio alveo delle misure indispensabili a creare sviluppo e crescita economica, sebbene secondo un approccio pragmatico. L’opposizione, in particolare, commette alcuni errori metodologici quando insiste nel dire che le scelte di politica economica fatte in questi giorni dal governo Meloni favoriscono solo i più ricchi. È il ceto medio, al contrario, ad essere stato messo al centro dell’attenzione dalla premier attraverso misure ispirate da quel realismo indispensabile per completare il risanamento della finanza pubblica e per non alterare il perseguimento degli obiettivi maggiormente caratterizzanti l’identità programmatica del centrodestra. La finanziaria all’esame del Parlamento dimostra di aver a cuore soprattutto il ceto medio. Affermazione quest’ultima suffragata non tanto da generici propositi politici, quanto dalla vastità di tale classe sociale e dall’ampiezza del suo perimetro agentivo. Nel ceto medio confluiscono, infatti, sia coloro che possono utilizzare l’ascensore sociale e le logiche tipiche della mobilità verso l’alto per scalare le posizioni alla base della piramide, sia coloro che invece sono retrocessi, discendendo dall’alto verso il basso.

Tra gli aspetti tecnici della manovra 2025 ignorati dai media c’è l’obbligo per i Ministeri di effettuare entro giugno 2026 una valutazione delle proprie politiche di spesa. Una previsione che gli esperti (compresi quelli di Banca d’Italia, che pure non ha risparmiato critiche sulla legge di bilancio) hanno considerato un «passo in avanti nell’attuazione della cultura della valutazione» della pubblica amministrazione. A questo tema e all’interazione tra sistema pubblico e privato come leve di crescita vogliamo dedicare parte della nostra analisi, nella consapevolezza dell’interdipendenza stabilitasi su questi specifici punti tra metodo e merito.

Valutare ciò che fa il pubblico significa fare sostanzialmente quattro cose: indicare obiettivi specifici e non solo generici da perseguire; misurare le performance del settore pubblico; trasformare questa misurazione da mero adempimento burocratico a strumento di miglioramento progressivo e continuativo, anche attraverso un lavoro meticoloso sulle competenze dei manager pubblici e di chi lavora con loro; tenere in grande considerazione il feedback dei cittadini, dopo averli coinvolti e ingaggiati. In relazione a quest’ultimo tema in Luiss abbiamo messo a punto un framework scientifico che, operando sul terreno del marketing strategico pubblico ed istituzionale, consente anche alla PA di muoversi con determinazione nella creazione e gestione del proprio valore. L’espressione chiave è proprio «valore». Anzi «valore pubblico».

Come sottolineato da Enrico Deidda Gagliardo (uno dei massimi esperti di questo tema in Italia), con la suddetta formula semantica si fa riferimento ad un concetto astratto che, proprio per tale motivo, necessita di essere contestualizzato nel tempo e nello spazio. Concetto che, in pratica, deve rendere visibile il «benessere complessivo» per cittadini, imprese e tutti gli stakeholder con cui il settore pubblico riesce ad interloquire. È la ricerca di un equilibrio dinamico tra differenti dimensioni l’approccio migliore da seguire: dimensione sociale, economica, ambientale, sanitaria, culturale, eccetera. Deidda Gagliardo ha più volte messo in risalto che da una parte esiste il «valore pubblico interno», determinato dalle conseguenze positive per dipendenti e dirigenti responsabili delle singole azioni ma anche dal livello di motivazione di chi lavora nel pubblico, dall’altra esiste il «valore pubblico esterno», che consiste negli effetti positivi prodotti su cittadini e portatori d’interesse. A tal fine, è importante che si allinei il valore reale di un brand pubblico al suo valore percepito. Quest’ultimo è il valore frutto della capacità di rappresentazione altrui e di autorappresentazione dell’istituzione o ente, territoriale o nazionale che sia. Se si riducessero le distanze tra valore pubblico interno e valore pubblico esterno, parimenti alla possibilità che si riesca veramente a sovrapporre valore reale e valore percepito senza che l’uno prevalga sull’altro, si creerebbero le condizioni affinché i cittadini e gli utenti dei servizi pubblici siano effettivamente partecipi dei diversi processi di policy.

Tutto questo, unitamente alla gestione oculata delle risorse, rappresenterebbe sicuramente un buon risultato. In questo senso, il valore pubblico, così come già avviene per il settore privato, può generare un significativo impatto sul Paese, diventando leva di crescita e sviluppo.

In economia la crescita economica si ottiene attraverso la presenza di alcune variabili macro come il reddito nazionale, il risparmio, gli investimenti, l’innovazione (specie di matrice tecnologica) ed altro ancora. C’è, dunque, anche il settore pubblico da prendere seriamente in considerazione. Per crescita si intende l’incremento tendenziale nel corso del tempo del Prodotto Interno Lordo. Il Pil, com’è noto, può essere nominale (la quantità dei beni e servizi prodotti al loro prezzo corrente) o reale (la quantità dei beni e dei servizi prodotti a prezzi costanti). L’incremento va misurato nel breve, medio e lungo termine. La letteratura scientifica distingue tra crescita endogena, nel cui ambito rientra la spesa pubblica e la natura degli interventi di politica economica, e crescita esogena. Quest’ultima dipende dalla situazione internazionale, oggi particolarmente problematica, come dimostrano gli effetti dei dazi americani e il ruolo sempre più pervasivo della Cina.

Sul fronte della crescita occorre fare di più per sottrarsi definitivamente alla prospettiva della stagnazione o della crescita molto contenuta. Il centrodestra è più abituato a politiche espansive, a differenza del centrosinistra che ha puntato e punta più su politiche ridistributive e su soluzioni molto discutibili come, per esempio, la patrimoniale. Se da un lato va considerato il fatto che per le imprese italiane sia un fatto positivo presentarsi con il biglietto da visita dei conti pubblici in regola, come sta avvenendo con il governo Meloni (la buona notizia è che nel 2026 l’Italia dovrebbe scendere sotto la soglia del 3% del deficit), ma anche con una PA più efficiente e soprattutto finalmente misurabile nelle sue performance, dall’altro occorre raddoppiare lo sforzo per sostenere tutto il sistema imprenditoriale.

Il presidente di Confindustria Emanuele Orsini ha proposto un mese fa un piano con un orizzonte temporale di almeno tre anni al fine di contare sulla continuità delle misure. Il riferimento è a Industria 4.0, Transizione 5.0, Decontribuzione Sud, Ricerca e Sviluppo (ma con più risorse) e soprattutto la Zes, che sta performando molto bene. È una proposta quella del numero uno di viale Astronomia che va accolta perché è frutto anzitutto di buon senso.

Tra le soluzioni da tenere in considerazione, almeno in linea generale, ci sono anche quelle legate allo strumento delle reti di impresa, che possono rappresentare un supporto valido alle piccole e medie aziende, e quelle che ruotano intorno al partneriato pubblico- privato. Stiamo parlando di forme di collaborazione che da un lato si sviluppano in ambito produttivo, dall’altro si sostanziano a metà strada tra enti pubblici e operatori privati al fine di realizzare e gestire infrastrutture o servizi di interesse pubblico. È un modo per ottimizzare le risorse, accedere a capitali privati, realizzare progetti innovativi in molti settori, efficientare le prestazione da rendere ai cittadini. Si tratta di una forma giuridica evoluta che può, nel contempo, incoraggiare l’attrattività e il mantenimento nel nostro Paese degli investimenti delle multinazionali.

È la logica ecosistemica quella che va incoraggiata. Senza se e senza ma. Si metta da parte la sterile contrapposizione tra i partiti, ancor più evidente in fase pre-elettorale, e si pensi agli interessi del nostro Paese.

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