l'analisi

La manovra non dimentica il ceto medio

Bruno Vespa

Il «Financial Times» scrive che «l’Italia, spesso liquidata in passato come l’anello debole dell’Europa, è diventata una storia di successo e un modello per l’Europa intera»

Non sono un economista e provo a fare un ragionamento di semplice buon senso. La legge di Bilancio sul 2026 è la più povera e austera da oltre dieci anni. Il «Financial Times» scrive che «l’Italia, spesso liquidata in passato come l’anello debole dell’Europa, è diventata una storia di successo e un modello per l’Europa intera». Aggiunge che la nuova legge di Bilancio, «puntando a portare il rapporto tra deficit e Pil sotto il 3% potrebbe migliorare il rating creditizio nazionale e ridurre i costi di finanziamento del debito». Meno interessi paghiamo, più soldi abbiamo a disposizione per famiglie e imprese.

Al posto di una pacca d’apprezzamento sulla spalla, sia la Banca d’Italia sia l’Ufficio parlamentare di bilancio hanno rimproverato il governo per aver fatto una manovra in favore di chi guadagna più e in danno di chi guadagna meno. Questa è la quarta legge di bilancio del governo Meloni. Nelle prime tre, i pochi soldi disponibili sono stati concentrati in provvedimenti a favore delle fasce più deboli. È noto che in tutto l’Occidente c’è una grande sofferenza da parte dei ceti medi. «Il vero problema sociale e politico dell’Italia è il potenziale impoverimento del ceto medio. E questo fa paura ha detto ieri a “La Stampa” Giuseppe De Rita, il maggior sociologo italiano, aggiungendo che «tutto sommato, il governo sta attuando una politica di attenzione verso il ceto medio». Il ceto medio, spesso identificato con la piccola e media borghesia italiana, è da molto tempo in crisi esistenziale. È stato il protagonista del «miracolo economico» degli Anni 60 quando era normale con due stipendi non ricchi comprarsi una casa. Quei tempi sono lontani e forse irripetibili, ma che un governo faccia capire, anche con pochi soldi, a quel nucleo determinante della società italiana che non è completamente dimenticato, può essere un’azione lodevole per un giusto equilibrio retributivo e non solo-come dice De Rita - perché le lezioni si vincono con i ceti medi.

Un problema parzialmente irrisolto è quello della sanità. L’Istat fa sapere che 5,8 milioni di italiani rinunciano a curarsi per l’eccessiva lunghezza delle liste di attesa. Il governo aveva minacciato di sostituirsi alle regioni in ritardo su questo tema. Un accordo lo ha per ora evitato, verranno assunti 1000 medici e 7000 infermieri ma c’è il grosso problema di una quantità gigantesche di «prescrizioni inappropriate», spesso anche costose come radiografie, tac e risonanze magnetiche. Indagini a campione hanno rivelato che in certi casi quasi la metà delle prescrizioni è inutile e questo richiede molta responsabilità ai medici di base che per togliersi ritorno un paziente particolarmente determinato e mettersi a posto con la propria coscienza prescrivono esami inutili. Si ripete anche quest’anno il vecchio scontro tra maggioranza e opposizione a proposito dell’adeguatezza delle cifre stanziate per la sanità. La maggioranza rivendica un aumento per l’anno prossimo di 2 miliardi e mezzo. L’opposizione dice che il confronto con il Pil è progressivamente negativo. Carlo Cottarelli, direttore del centro studi sui conti pubblici dell’Università cattolica, afferma che questa cifra porta il rapporto tra spesa sanitaria e Pil al 6,5-6,6% nel prossimo triennio, su livelli un po’ più alti di quel 6,4 a cui lo aveva lasciato il centro sinistra prima della crisi Covid.

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