l'analisi
Il sondaggio incorona Decaro ma la Puglia torni ad essere un vero laboratorio politico
L’ultimo sondaggio commissionato dalla Gazzetta del Mezzogiorno indica che la maggioranza degli elettori pugliesi è schierata con Antonio Decaro (61,9%) e non con Luigi Lobuono (36,1%), candidato del centrodestra
Accettare i sondaggi come verità sacrosanta, molto prima del 23 e 24 novembre, è un esercizio rischioso: andrebbero sempre presi con beneficio d’inventario. Tuttavia, oggi le tecniche di rilevazione si avvicinano sempre più alle reali intenzioni di voto dei pugliesi. I sondaggi precedenti al voto si chiamano appunto pre-elettorali, mentre quelli rilevati durante le giornate elettorali sono i cosiddetti exit poll.
L’ultimo sondaggio commissionato dalla Gazzetta del Mezzogiorno indica che la maggioranza degli elettori pugliesi è schierata con Antonio Decaro (61,9%) e non con Luigi Lobuono (36,1%), candidato del centrodestra. A fare da sfondo, un dato strutturale: l’astensione. Alle regionali 2020 votò il 56,43% degli aventi diritto; lo stesso valore si registrò alle politiche del 2022. Nel 2024, invece, alle Europee, l’affluenza è scesa al 43,61%, con un calo di circa 13 punti percentuali. Per le prossime regionali, il sondaggio prevede un’affluenza al 45%, leggermente superiore alle Europee, ma comunque bassa. Gli indecisi - cioè coloro che potrebbero sia astenersi sia recarsi alle urne - rendono il dato ancora volatile.
La vittoria di Decaro era già ampiamente prevista, e il sondaggio del quotidiano pugliese la conferma, anche alla luce del risultato ottenuto alle ultime Europee: nella circoscrizione Sud raccolse 500.921 voti, di cui 186.577 nella provincia di Bari e 59.339 nella città capoluogo. In Puglia totalizzò 350 mila preferenze: cifre da capogiro. Luigi Lobuono, candidato del centrodestra scelto quasi fuori tempo massimo e consapevole della sfida impari, sta conducendo una campagna determinata, ma il divario resta notevole. La responsabilità ricade interamente sulla classe dirigente del centrodestra, che - dopo la disfatta a Bari - non ha saputo organizzarsi per le Regionali. Ha giocato di melina tra Mauro D’Attis (FI) e Marcello Gemmato (FdI), entrambi presto finiti nel cono d’ombra. Era persino circolata l’ipotesi di candidare parlamentari della lista della presidente Meloni, ma la proposta si è sciolta come neve al sole. Esauriti i nomi interni, si è ripiegato sulla società civile, individuando nell’imprenditore Lobuono l’ultima carta possibile.
Nel centrodestra, l’unico vero traino è Fratelli d’Italia, che con il 24% raddoppia rispetto alle regionali 2020, conferma le politiche 2022 e perde circa tre punti rispetto alle europee 2024. Sondaggio alla mano, FdI è il primo partito in Puglia: pigliatutto a destra. Nel centrosinistra, il primo partito è il Partito Democratico (22,8%), che cresce rispetto alle Regionali e alle Politiche 2022, ma perde dieci punti percentuali a favore della lista civica Decaro (13%). Il M5S arretra: –1% rispetto alle Regionali 2020, –17% rispetto alle Politiche 2022, –3% rispetto alle Europee 2024. In sintesi: il «campo largo» sta stretto ai 5 Stelle.
Con Michele Emiliano, alle scorse Regionali, il Pd fu penalizzato dalle numerose liste civiche; con Decaro, accade il contrario: cresce il Pd, cresce la lista Decaro, si riducono le liste minori. La vera locomotiva è l’ex sindaco di Bari.
Intanto, il centrosinistra governa la Puglia da vent’anni: prima con Nichi Vendola, poi con Michele Emiliano. In due decenni ha consolidato una struttura di potere forte, ma ora arriva il cambio generazionale: Decaro ed Emiliano sono due facce della stessa medaglia, ma dai dati del sondaggio alla mano il primo sembra per davvero rappresentare una discontinuità tout court.
Il centrodestra, al contrario, non ha saputo costruire in Puglia una vera cultura di governo: è giunto al voto diviso, logorato, impreparato. Il paradosso è evidente: centrosinistra egemone in Regione, centrodestra egemone a Roma, ma debole a Bari. Il centrosinistra nuota sicuro nei due mari che circondano la Puglia; il centrodestra galleggia nelle proprie contraddizioni. Ammettendo - e non concedendo - che Decaro vinca, si ritroverà in una condizione istituzionale anomala: per governare bene avrà bisogno non di un’opposizione debole, ma di un’opposizione forte. Nell’attuale deficit di riformismo, dovrà rilanciarne il significato: non come etichetta, ma come metodo di governo. Il «presidente in pectore» dovrà riempire di contenuti una parola logorata, trasformandola in programma capace di rilanciare una regione che, dietro la cartolina, vive una crisi industriale drammatica.
Il caso ex Ilva è emblematico: lo stabilimento scivola verso la condizione di «cimitero industriale», altro che cattedrale nel deserto. Oggi ci sono 3.500 cassintegrati, un solo altoforno attivo (il n. 4), appena 2 milioni di tonnellate prodotte. I due bandi del Mimit sono andati deserti. Senza un accordo serio con il governo sulla decarbonizzazione, lo stabilimento chiuderà. Punto. Lo stesso vale per la sanità, che richiede una vera alleanza tra maggioranza e opposizione. E non potrà mancare un rapporto politico–istituzionale tra il futuro presidente della Puglia e il vicepresidente della Commissione europea, Raffaele Fitto. Denatalità, criminalità, fuga di giovani, desertificazione interna, squilibri territoriali: non bastano gli spot sul turismo o sull’agroalimentare.
La Puglia resta a macchia di leopardo: territori «della polpa» e territori «dell’osso». Davanti a questa Puglia irrisolta, Decaro – se eletto – avrà una sola strada: una politica bipartisan capace di superare il muro contro muro. Sarebbe una novità storica per la regione e un cambio di paradigma per l’intero Mezzogiorno. La Puglia del 2025 è lontanissima da quella del 1970, quando le Regioni nacquero come laboratorio di equilibrio tra Stato e territorio. Allora si parlava di programmazione democratica, di riforme strutturali, di partecipazione. Oggi, la Regione somiglia più a un carrozzone di potere che a un luogo di progetto. Il riformismo, un tempo lingua naturale della politica meridionale, è diventato parola spenta. Se Decaro vincerà, erediterà non solo vent’anni di governo, ma un ciclo politico arrivato al capolinea. Come ricordava Aldo Moro: «Il vero dramma della politica non è la mancanza di una maggioranza, ma la mancanza di una minoranza all’altezza». Senza opposizione forte, nessuna democrazia regge. Senza riformismo reale, nessuna maggioranza regge. La sfida non è solo amministrare: è restituire alla politica il suo senso storico. Quello che Gramsci chiamava «direzione morale e intellettuale», oggi soffocato tra marketing elettorale e leadership personali. O il riformismo torna ad essere azione concreta - capace di unire crescita, giustizia sociale e visione industriale - oppure sarà archiviato come parola d’antan. In fondo, la vera alternativa non è tra destra e sinistra, ma tra una regione che si pensa periferia amministrata e una che torna ad essere laboratorio politico. La prima sopravvive, la seconda fa storia. La Puglia, ora, deve scegliere a quale delle due appartenere.