L'analisi

Quando anche a sinistra guardavano con timore ai poteri della magistratura

Bruno Vespa

L’irruzione dei banchi della sinistra verso il centro dell’emiciclo di Montecitorio per protestare contro i festeggiamenti dei ministri Tajani e Nordio per l’approvazione in terza lettura della riforma giudiziaria lasciava immaginare una difesa fisica della magistratura da un attacco golpista

L’irruzione dei banchi della sinistra verso il centro dell’emiciclo di Montecitorio per protestare contro i festeggiamenti dei ministri Tajani e Nordio per l’approvazione in terza lettura della riforma giudiziaria lasciava immaginare una difesa fisica della magistratura da un attacco golpista.

Eppure la sinistra non l’ha sempre pensata così. All’inizio degli anni Novanta, il deputato comunista Alberto Malagugini (poi giudice costituzionale) suggerì al presidente della Repubblica Francesco Cossiga, diventato «picconatore», di limitare i suoi attacchi alla magistratura «sennò quelli là ci travolgono». Il timore del potere giudiziario - che Cossiga si ostinava a chiamare «ordine» - era dunque piuttosto trasversale. Ma anche in tempi assai più recenti esistevano preoccupazioni a sinistra.

Come ha ricordato ieri Giuseppe Benedetto, presidente della Fondazione Einaudi, al congresso del Partito democratico del 1989, Debora Serracchiani, responsabile giustizia del partito e Maurizio Martina che ne era stato segretario fino a pochi giorni prima, dissero: «La realizzazione di un processo basato sulla parità delle parti e la terzietà del giudice è il nostro progetto in materia di giustizia penale. Il tema della separazione delle carriere appare ineludibile per garantire un giudice terzo ed imparziale».

Lo fecero temendo una deriva giustizialista del governo Lega–M5s. Non è chiaro che cosa sia cambiato da allora nell’amministrazione della giustizia, se non che da tre anni al governo c’è il centrodestra.

La riforma che sarà sottoposta l’anno prossimo al referendum cerca di far saltare il potere delle correnti giudiziarie con il sorteggio dei membri dei due consigli superiori (uno per i pubblici ministeri, l’alto per i giudici) e con l’attribuzione del potere disciplinare a un’alta corte composta anch’essa per sorteggio.

I timori per un ridimensionamento del ruolo del pubblico ministero sono del tutto infondati, visto il timore che un consiglio superiore formato soltanto da essi ne rafforzi addirittura il potere.

Vale la pena di ricordare che l’Italia è l’unico paese al mondo in cui il pubblico ministero è completamente indipendente dal potere esecutivo e dalle alte cariche della magistratura. Per fermarci ai principali paesi democratici, il PM è nominato in varie forme dal governo negli Stati Uniti, in Giappone, Gran Bretagna, Germania, Francia, Spagna, Austria, Paesi Bassi, Danimarca, Svezia, Norvegia. In Portogallo i pubblici ministeri sono nominati dal procuratore generale che presiede il loro consiglio superiore (da noi continuerà ad essere presieduto dal capo dello Stato). Stessa cosa accade in Grecia.

Poiché è difficile sostenere che in tutti questi paesi esistano dei regimi autoritari, dobbiamo chiederci perché fu compiuta questa scelta dalla quale l’Italia resta tuttora estranea, in beata solitudine. La risposta è semplice: poiché il governo è incaricato di reprimere i reati e la politica stabilisce in concreto quale sia l’interesse pubblico, il pubblico ministero è il suo braccio operativo. Noi siamo diversi: l’obbligatorietà dell’azione penale consente, per esempio, al magistrato di stabilire a quali fascicoli dare la precedenza. Scelta tipicamente politica. Ci sarebbe molto da discutere, ma per favore non esageriamo nelle lamentele.

Privacy Policy Cookie Policy