L'analisi

Strategie e polemiche: se le regionali riscrivono la politica italiana

Biagio Marzo

Si è rotto l’incantesimo politico tra Michele Emiliano e Antonio Decaro. Galeotta è stata l’esclusione dell’attuale presidente dalle liste del Partito democratico come candidato al consiglio regionale

Si è rotto l’incantesimo politico tra Michele Emiliano e Antonio Decaro. Galeotta è stata l’esclusione dell’attuale presidente dalle liste del Partito democratico come candidato al consiglio regionale. A Bisceglie, in piazza, nel corso della Festa dell’Unità, il miracolo - grazie anche al santo del giorno, Santa Teresa di Calcutta - si è compiuto: l’ex sindaco di Bari ha annunciato urbi et orbi la sua candidatura. Un passo che lui stesso ha raccontato di avere maturato anche grazie alla promessa fatta a un caro amico scomparso, il consigliere regionale Donato Metallo, che lo incitava in dialetto salentino: «Anto’, mena, mena, mè», cioè «spicciati, non perdere tempo, candidati».

Il popolo progressista pugliese si era già idealmente «votato» per Decaro e non per altri. La prova? La presenza di Nichi Vendola nella lista di Fratoianni e Bonelli – dopo una battaglia del leader Verde che, forse, mirava anche a farsi perdonare l’accanimento nell’inchiesta ex Ilva che coinvolse l’ex governatore pugliese – proprio colui a cui Decaro si opponeva. Vendola è candidato, dopo mediazioni condotte anche da leader della coalizione, ma appartiene ormai a un rito politico diverso, a una stagione passata, in cui la politica aveva un altro peso. Diversa la posizione di Michele Emiliano. Non ha santi in paradiso: puntava sulla segretaria Schlein, ma per Elly contano le 500 mila preferenze di Decaro, non un presidente uscente. Per questo, vero o no, Emiliano avrebbe cambiato strategia: riprendere in mano la sua creatura politica, la lista civica «Con», affidata l’anno scorso al fidatissimo Alessandro Delli Noci. Potrebbe richiamare i suoi amici di sempre - fuor di metafora, alla costruzione delle liste provinciali - per prepararsi a rientrare in campo. Il suo entourage, però, è diviso: c’è chi lo spinge a candidarsi e chi lo sconsiglia. Intanto, Emiliano smentisce le voci di una sua discesa in campo e ripropone, suo malgrado, il «passo di lato». A scanso di equivoci, Decaro ha precisato che le liste della coalizione dovranno avere la sua firma. Tradotto: non c’è trippa per gatti, ovvero non c’è posto per il governatore uscente.

Questo è solo il primo tempo di un film ricco di suspense. Il secondo avrebbe dovuto andare in scena il giorno dopo, sempre a Bisceglie, con il comizio di Emiliano, che però ha dato forfait - giustificato dalla nascita della figlia, a cui, insieme alla madre e al padre, vanno i più sinceri auguri. Di certo Emiliano non è il tipo da finire «ai giardinetti»: il suo impegno continuerà, sostenuto da un seguito di pugliesi che lo stimano per il suo modo «irregolare» di fare politica. E guarda già al 2027, quando ci saranno le elezioni politiche: appuntamento decisivo per le sorti della Repubblica, con l’elezione del Capo dello Stato.

Nel caso il campo largo vincesse, Emiliano potrebbe giocarsi la carta di ministro; in caso contrario, la battaglia sarà politica, per evitare che Giorgia Meloni elegga da sola un presidente a lei gradito. L’obiettivo sarebbe costringerla a trattare su un nome di comune gradimento. Ma la Puglia non è l’unica regione attraversata da questo fermento. In tutte e sette le regioni chiamate al voto il dibattito è incandescente, con una dialettica mai vista prima.

La novità è che il confronto non si gioca soltanto tra destra e sinistra, ma anche all’interno delle stesse coalizioni, dove vecchi equilibri si incrinano e nuove leadership cercano spazio. Le regioni, inaspettatamente, sono balzate al centro del dibattito nazionale, oscurando i partiti tradizionali e i loro vertici romani. I protagonisti assoluti, questa volta, sono i presidenti uscenti. Hanno occupato quasi interamente lo spazio pubblico, riducendo la visibilità della politica nazionale. Un paradosso, se si pensa che per anni sono stati bollati con appellativi poco lusinghieri: «cacicchi» e «capibastone». Etichette che Elly Schlein, alla guida del Partito democratico, ha voluto combattere, ponendo al centro del suo programma la parola d’ordine del rinnovamento.

Eppure, nonostante queste battaglie, il potere dei presidenti regionali resta oggi più forte che mai. Ed eccoci di nuovo alla Puglia. Qui il mosaico è ancora più complesso: Decaro con la sua candidatura ufficiale, Vendola rientrato in campo con Avs, Emiliano pronto - se ci fossero le condizioni - a giocarsi la carta della lista «Con». Una mossa che potrebbe indebolire il campo largo o, al contrario, mobilitare elettorato e passioni. La risposta dipenderà dall’esito di un confronto che si annuncia senza precedenti.

La destra, finora, ha osservato con attenzione, quasi «privilegiando» Emiliano nella convinzione che un campo largo diviso sia il miglior alleato, mentre Decaro può contare su un bottino di 500 mila preferenze. Ma non potrà limitarsi ancora a fare da spettatrice: dovrà decidere se calare subito la carta del proprio candidato di punta - il nome più accreditato resta Mauro D’Attis di Forza Italia - oppure se attendere che lo scontro interno al fronte progressista faccia il suo corso. In entrambi i casi, il conquibus della campagna elettorale sarà proprio questo: capire se la contrapposizione nel cosiddetto campo largo diventerà un vantaggio per la destra o se, al contrario, le divisioni a sinistra riusciranno a mobilitare energie nuove. In gioco non c’è solo la presidenza della Puglia, ma il modello stesso di come, oggi, le regioni stanno riscrivendo la politica italiana.

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