L'analisi

Si gioca sul ceto medio: la fase 2 di Giorgia tra forza, sfida e speranza

Francesco Giorgino

A proposito del piano territoriale del nostro ragionamento, la premier sa bene che la partita alle prossime regionali non è tra le più facili

Il rientro dalle vacanze estive, alcune delle quali trascorse in Puglia, segna per Giorgia Meloni un cambio di passo. Lascia preludere ad un rilancio dell’azione di governo all’insegna della interlocuzione più diretta e serrata con il ceto medio. Qualcuno tra gli analisti politici si è spinto fino al punto di considerare il suo applauditissimo intervento al Meeting di Rimini di qualche giorno fa come lo spartiacque tra un prima e un dopo. Si è parlato in tal senso di «Fase 2» dell’esecutivo guidato dalla leader di Fratelli d’Italia. Non trascurabile è il fatto che ci avviciniamo alle elezioni regionali e che in autunno il governo supererà i tre anni di vita. Occorre costruire il futuro, partendo dal recente passato e dal presente per dare alla coalizione del centrodestra, da lei guidata con piglio sicuro, una prospettiva a lungo termine. Una prospettiva che vada, cioè, oltre il 2027.

Cominciamo con l’affermare che le capacità comunicative le conferiscono un notevole vantaggio rispetto ai propri competitor e ai propri alleati. Un particolare non da poco, visto che viviamo in un’era in cui molto si gioca sul piano del binomio rappresentazione-percezione, ma anche considerando i molti pregiudizi che la Meloni ha subito (e in parte continua a subire), unitamente al distacco con cui è stata osservata fino a non molto tempo fa dai cosiddetti poteri forti del nostro Paese. Il suo più grande capitale è dato dal fatto di essere apprezzata anche da chi non ha mai votato nella propria vita MSI, AN e FdI. È un capitale personale che genera valore aggiunto all’intera coalizione, la quale, grazie alla lungimiranza di Silvio Berlusconi e alle scelte che egli fece già agli inizi degli anni Novanta, si fonda sulla compatibilità programmatica di centro e di destra, inclusa la destra autonomista di matrice nordista. L’esperienza in tante regioni di peso dimostra che quel modello ormai è un processo politico rodato.

A proposito del piano territoriale del nostro ragionamento, la premier sa bene che la partita alle prossime regionali non è tra le più facili. Oltre ai nodi ancora irrisolti in Veneto e Puglia, va ricordato che Marche e Calabria sono contendibili da parte del centrosinistra, nel cui ambito si stanno creando le condizioni (vedi le candidature di Fico in Campania e Tridico proprio in Calabria) affinché il campo largo non registri più la presenza in posizione baricentrica del solo Pd, ma anche dei Cinque Stelle. Giuseppe Conte è pronto a giocare una partita ambiziosa. Ciò detto, l’assenza di alternative all’attuale esecutivo impatta in modo significativo nella definizione dei futuri equilibri politici, visto che i democratici sono sempre più spostati a sinistra. Da Vigevano venerdì sera la Schlein ha evocato il ricorso alla piazza contro il governo, a partire dal tema della sanità pubblica.

La Meloni ha compreso che è opportuno rafforzare il dialogo con il mondo cattolico (non si dimentichi l’ottima intesa già raggiunta con la Cisl di Daniela Fumarola), con il mondo produttivo (dialogo continuo con le associazioni di categorie), con gli elettori postdemocristiani, con i moderati, insomma, ovvero con chi ricerca le ragioni del dialogo, con chi si colloca lontano da ogni estremismo e fa continua pratica di cultura istituzionale. È utile riflettere, altresì, sul significato di «ceto medio» per capire come tornare a far funzionare l’ascensore sociale. Il riferimento è a chi, partendo da condizioni di difficoltà, cerca di guadagnare una posizione più prestigiosa attraverso la propria attività e puntando sul merito. Questo ci insegnano gli anni Cinquanta, a partire da quel capolavoro di coraggio e lungimiranza che fu il miracolo economico, con la formazione della piccola borghesia, come ricordato recentemente da Giuseppe De Rita. La Meloni ha preso atto che il potenziale del ceto medio è enorme e che esso può svilupparsi in più direzioni. Non è un caso che, oggi come allora, si sia ripartiti dalla casa, che a metà del secolo scorso rappresentò il primo passo in direzione del riconoscimento sociale della persona.

A Rimini il Presidente del Consiglio ha utilizzato in gran parte un «lessico cetomedista», proponendosi come punto di riferimento di questa ampia e composita categoria di italiani fatta di famiglie, lavoratori, imprese (strozzate dal costo eccessivo dell’energia e dalla burocrazia), pensionati. Senza se e senza ma. Soprattutto, senza troppe intermediazioni e partendo dal presupposto che non viviamo più nell’era delle ideologie, ma possiamo e dobbiamo sfruttare al meglio la forza delle idee, nel solco della difesa dei valori occidentali. Un lessico che unisce e non divide. Che genera fiducia e riduce di parecchio la diffidenza iniziale. Certo, sarebbe sciocco immaginare che basti un discorso, ineccepibile per forma e sostanza, a garantire ad un leader il successo per i prossimi anni. Un apprezzamento vasto genera automaticamente un incremento delle aspettative e si sa che le aspettative se deluse si trasformano in un rischio politico.

La lista dei problemi da risolvere è lunga e le risorse a disposizione (per responsabilità non della Meloni, invero) sono limitate. Vedremo come verrà attuato il piano casa che serve a creare per le giovani coppie le condizioni materiali per mettere in piedi una famiglia, fare figli e contrastare la denatalità. Per quanto riguarda una delle misure più importanti, ovvero la riforma dell’Irpef, finora il governo si è limitato ad accorpare dal 2024 le prime due aliquote (quelle del 23 e del 25%), portandole al 23% per i redditi fino a 28mila euro. Scelta inevitabile per aiutare i titolari dei redditi medio-bassi. Nel 2025 si doveva portare la seconda aliquota dal 35 al 33% e aumentare il relativo scaglione di reddito da 50 a 60mila euro lordi. Ci si è fermati proprio per mancanza di risorse. Servono 4 miliardi annui che si pensava di reperire con il concordato preventivo, ma finora così non è stato. È anche in questo modo che si aiuta il ceto medio. Resta aperta la questione dei salari troppo bassi, che non possono rappresentare un main topic solo per la sinistra.

Il tempo ci dirà se alle parole seguiranno i fatti. Il tempo ci consentirà di misurare concretamente gli effetti delle scelte di politica economica del governo. Non si dimentichi, però, che il maggior punto di forza della premier finora è stato quello dell’osservanza della diade «pragmatismo/coerenza». Se un giorno rinunciasse a questi due elementi, lo scenario potrebbe cambiare. Per questo serve una «Fase 2», come certificato dai molti esponenti di maggioranza intervenuti nella kermesse organizzata dal quotidiano online «Affari Italiani» a Ceglie Messapica. Occorre farlo, partendo però da una consapevolezza di fondo. Meloni moderata, istituzionale, più attenta al ceto medio, protagonista a livello internazionale è il miglior investimento per lei e per il futuro del centrodestra.

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