L'analisi
Macché progresso! È il ritorno della barbarie
È difficile definire lo scenario degli eventi di questi ultimi anni. Certamente è uno scenario torbido come un torrente fangoso
È difficile definire lo scenario degli eventi di questi ultimi anni. Certamente è uno scenario torbido come un torrente fangoso. Ci può aiutare a definirlo il pensiero di Gianbattista Vico con la sua teoria dei corsi e ricorsi storici. È la barbarie ritornata. Siamo tutti in crisi, perché eravamo abituati a vedere la storia indirizzata verso un progresso infinito. Sono cadute le leopardiane «magnifiche sorti e progressive». Avevamo dimenticato l’ammonimento di Kant che dal legno storto, che è l’uomo, non può derivare mai un legno diritto. Si raggiunge la chiarezza, come suggerisce Lao Tzu nel Tao te Ching, «quando si sta quieti in presenza del caos. Sopportando il disordine, rimanendo tranquilli, si apprende gradualmente a far calmare l’acqua fangosa e a lasciare che le giuste risposte si rivelino».
La velocità e la fretta ci rendono insofferenti, violenti, nervosi, non ci fanno pensare. Rischiano di togliere all’uomo il tempo di essere se stesso, di vivere per quello che egli è e non per quello che appare. La stessa società si è trasformata in società di spettacolo. Essere significa apparire nel multimedia, in internet, essere visto in TV. Un mondo dominato dalla fretta, dalle cose, dal profitto e dall’individualismo acquisitivo è un mondo disumano, distruttivo di ogni cultura morale e del bene comune, che è il fine della vita socio-politica e della stessa economia.
Il peccato «mortale» della civiltà dei media, per Pierre Babin e Mc Luhan, non è tanto la destrutturazione dell’uomo, quanto «l’alienazione del conformismo sociale». A forza di pubblicità e di immagini luccicanti e coinvolgenti, l’uomo non ascolta più la voce della sua coscienza, che parla nel profondo della sua interiorità. È «tutto al di fuori».
Paolo Crepet nel suo ultimo libro, Il reato di pensare. Oltre il conformismo, esercizi di libertà (Mondadori), dimostra che l’omologazione come una nebbia sottile spegne il pensiero critico, inibisce la creatività e il coraggio di essere diversi. È un reato pensare! Occorre riscoprire la potenza, oggi rivoluzionaria, del pensiero critico. Nella cultura mondiale, dopo la crisi delle ideologie, il predominio della razionalità tecno-economica, strumentale, ha determinato il trionfo del pensiero unico sul pensiero critico e sulla razionalità pratica e politica. Il pensiero unico con la sua razionalità riduttiva ha svuotato di senso le categorie morali, politiche, anche estetiche, e ci ha lasciato un cumulo di macerie.
In questo disordine mondiale sono in tanti a pensare con Spengler al tramonto dell’Occidente e dell’Europa. In realtà non è così. Europa e America del Nord hanno creato quell’universo scientifico e tecnologico che abbraccia anche l’America latina e l’Estremo oriente e hanno inventato per l’intero pianeta ciò che chiamiamo «modernità» (diritti, universali dell’uomo, uguaglianza, libertà economica, democrazia). Lo storico Aldo Schiavone nel suo recente saggio Occidente senza pensiero (il Mulino) sostiene che nella nostra civiltà planetaria, in un mondo sempre più interdipendente, minacciato dai sovranismi, occorre un pensiero che sappia cogliere ciò che unisce i singoli e i popoli. Siamo senza pensiero per «la scomparsa dalla scena d’Europa del grande pensiero sull’umano: filosofia, teoria politica, scienze storiche e sociali». Per colmare questo «vuoto inquietante» occorre «una rivoluzione intellettuale e morale dell’intera cultura europea».
La disgregazione dell’impianto statual-nazionale e la sua inadeguatezza a risolvere i grandi problemi planetari del nostro tempo dentro confini e territori determinati possono essere superati solo dall’eredità culturale europea, che è rappresentata, per Schiavone, «dalla tradizione cristiana, sia nella versione cattolica, sia in quella protestante», per il suo intrinseco valore universalistico. Il concetto cristiano di persona ci aiuta a superare la visione capitalistico-borghese di individuo. Né va dimenticato che la Chiesa cattolica in questi anni, dopo la fine del marxismo e dei regimi comunisti, è stata «l’unica voce critica rispetto alle disuguaglianze indotte da aspetti cruciali della globalizzazione tecnocapitalistica».
Come ci ha indicato Albert Einstein, occorre una nuova forma di pensiero perché l’umanità possa sopravvivere alla minaccia atomica ed elevarsi ad un livello superiore: «È necessario abbandonare la competizione e adottare la cooperazione».