la riflessione

Francesca Albanese a Bari, il coraggio della verità su Gaza

Luigi Cazzato

Se oggi proviamo a fare una ricerca su Google, il primo risultato che vien fuori non è il link alla pagina di Wikipedia, bensì la voce «francesca albanese controversy»

Abbiamo conosciuto Francesca Albanese anni fa, quando partecipò alle attività del Gruppo di ricerca S/Murare il Mediterraneo dell’Università di Bari e a quelle del Forum delle giornaliste del Mediterraneo. Si batteva per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati ben prima della sua nomina alle Nazioni Unite. E già allora combatteva come la leonessa che tutti nel mondo hanno potuto poi conoscere. Altro che «figura divisiva e controversa», come vuole la collaudata macchina del fango.

Adesso l’uomo più potente del mondo (il presidente degli Usa) ha deciso che il nemico numero uno è una singola donna (la Relatrice speciale Onu).

Ma Francesca Albanese non è sola, c’è un popolo globale che la sostiene: dall’Australia alla Colombia. Adesso anche in Italia, il Paese che la Prima ministra chiama ogni giorno «nazione», esaltando cioè l’orgoglio nazionale, senza curarsi di essere orgogliosa della connazionale. Noi invece siamo orgogliosi non tanto dell’italianità di Francesca quanto della sua parresia, cioè della verità che dice davanti al Potere, di qualunque nazione e a qualsiasi latitudine. Per questo è stata sanzionata e le sue libertà ristrette.

Se oggi proviamo a fare una ricerca su Google, il primo risultato che vien fuori non è il link alla pagina di Wikipedia, bensì la voce «francesca albanese controversy». Fanpage ha condotto un’inchiesta sulla campagna pubblicitaria di Israele contro la Relatrice speciale e ha scoperto che la Israeli Government Advertising Agency, un’agenzia che opera come gruppo di comunicazione per il governo di Benjamin Netanyahu, sta attuando una campagna diffamatoria contro di lei, anche a colpi di sponsorizzazioni e manipolazioni sulla Rete.

Secondo questa campagna, il 25% dei post sui social di Albanese presenterebbero temi antisemiti. Un’altra delle accuse rivoltele è di aver descritto i violenti attacchi del 7 ottobre come frutto dell’ «occupazione e della disperazione». Se così è, dovrebbero sanzionare allora mezzo pianeta, e forse più, che la pensa esattamente allo stesso modo. A partire dal segretario generale dell’Onu António Guterres, che ha voluto ricordare al mondo che «gli attacchi di Hamas non sono avvenuti nel nulla», ma nel contesto di una «soffocante occupazione».

Ci sono accuse anche più gravi, come aver partecipato a eventi di organizzazioni affiliate a gruppi terroristici. Ma la Relatrice speciale si chiede: «Da quando collaborare con la Corte penale internazionale è sostenere il terrorismo?». Invece, secondo i detrattori, il lavoro svolto di Francesca Albanese minerebbe la credibilità del suo mandato e del più ampio sistema Onu per i diritti umani.

I diritti umani: proprio quelli che Albanese prova davvero a difendere ogni santo giorno con coraggio, decisione, passione, mettendo a rischio la propria persona, pur di denunciare il genocidio di un popolo.

Albanese, direbbe Mahmoud Darwish, è «una candela in mezzo al buio».

Il Gruppo di ricerca S/Murare il Mediterraneo è orgoglioso di averla avuta fra le nostre affiliate. E oggi lo siamo ancor di più perché Bari, dove, come vuole il detto, «nessuno è straniero», le consegna le sue chiavi. La speranza è che, in questo buio, tante altre città e regioni e nazioni consegnino le loro chiavi, non tanto a lei ma al ruolo che svolge.

Perché non una, ma cento, mille milioni di Francesche possano gridare al mondo come Nelson Mandela: «La nostra libertà è incompleta senza la libertà dei palestinesi».

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