L'analisi
Le ferie «disconnesse»: nuova frontiera delle vacanze di lusso e toccasana per anima e corpo
Spegnere lo smartphone coincide con la più alta idea di vacanza, in una contemporaneità che non rispetta il tempo del tempo, corre talmente veloce da anticipare ciò che ha date precise sul calendario. Bulimica, affannata, soverchia, patologica, ansiogena, maleducata
Vado in ferie, off-line. «Ah, vai all’estero?». No, vado off-line. «Ho capito, ma dove si trova?». È la nuova frontiera delle vacanze di lusso, il lusso dell’anima, il lusso del tempo.
Spegnere lo smartphone coincide con la più alta idea di vacanza, in una contemporaneità che non rispetta il tempo del tempo, corre talmente veloce da anticipare ciò che ha date precise sul calendario. Bulimica, affannata, soverchia, patologica, ansiogena, maleducata.
Una fretta che, se si riscoprisse il tempo della riflessione, il più delle volte risulterebbe immotivata.
Chi di noi, suvvia, non desidera la pace dell’assenza totale di trilli e isterici suoni da notifica, ed è vero sì che basta disattivare le funzioni indesiderate pigiando su un tastino, ma è altrettanto vero sia automatico l’istinto di verificare che qualcuno ci abbia telefonato, scritto o ancor peggio inviato un (odioso) messaggio vocale, quasi sentendosi in colpa se ci si concede una pausa pranzo, un sonnellino, un momento per se stessi.
Eppure, quello alla disconnessione, è un diritto.
Maturato poco dopo l’alba Covid, quando lo smartworking ha falciato i confini spazio temporali fisici e tracciabili, prestando al contempo il fianco ad abitudini e costumi anche nella gestione dei rapporti interpersonali, lungi dalle basi minime di default della buona educazione.
Si chiama (ancora ci sono i resistenti delle chiamate, della chiacchiera a voce, in crescente minoranza per la verità, ndr), si scrive, si inviano vocali a nastro a qualsiasi ora del giorno e della notte, in orari sconvenienti, giorni festivi, senza il più delle volte motivi e necessità stringenti. Quasi come se quella notifica sullo smartphone del destinatario non fosse comunque un ingresso poco opportuno nel suo tempo, nella sua quotidianità.
Esempi tipo (chiunque di noi potrebbe farne a bizzeffe):
Ore 3 a.m. «scusami so che ti disturbo, ma stavo pensando…»
Bene, se lo sai non disturbare. «So che è domenica e sei al mare, ma ti chiedo giusto di farmi una cortesia di lavoro, tanto ci metti poco…»
Appunto, è domenica, e ci impiegherei anche meno a mandarti al diavolo…
«Ho mandato un vocale due settimane fa, ma non hai risposto».
Se uno non risponde, non può o non vuole. Entrambe le circostanze rispettabilissime.
Tra il serio e il faceto, esempi e ironia a parte, la mole di informazioni e sollecitazioni inutili che riceviamo sullo smartphone incide negativamente anche sulla nostra memoria, imbarchiamo dati velocemente e con la stessa velocità li dimentichiamo. Sul diritto alla disconnessione, dicevamo qualche rigo più su, in ambito lavorativo, e al netto di situazioni di lavoro in reperibilità ed emergenza, in Italia è stato riconosciuto formalmente nel 2021, con il Decreto Legge n. 30 del 13 marzo 2021, e poi richiamato nel Protocollo Nazionale sul Lavoro Agile firmato a dicembre dello stesso anno.
Riguarda soprattutto chi lavora in modalità agile, per cui il lavoratore ha il diritto a non rispondere a email, chiamate o messaggi al di fuori del proprio orario lavorativo.
Il datore di lavoro è tenuto a rispettare tempi di riposo e disconnessione, favorendo un equilibrio tra vita privata e lavoro.
In un momento storico in cui il burnout è riconosciuto come malattia da eccesso di lavoro ed eccesso di connessione, riconoscere l’esistenza di questo diritto è fondamentale per la tutela della salute psicofisica del lavoratore, la prevenzione dello stress patologico di cui spesso si sorride ma che rappresenta una malattia invalidante e silente, la salvaguardia della vita privata e familiare, la promozione di un modello lavorativo sostenibile e produttivo.
Non è solo una questione normativa ma anche culturale: imparare a lavorare bene significa anche sapere quando smettere di lavorare.
Mentre la società – siamo noi, la società. Memento - ci vuole performanti e iper produttivi, il cuore e la testa si svuotano man mano, trasformandoci in monadi con gli occhi a palla sui display, ostaggio dei social e avulsi da forme preziose di socialità.
Che va riscoperta, perché è balsamo del quotidiano.
Benzina vera nell’andare dei nostri giorni precari.
Lo stesso tempo che si impiega a pigiare per mandare un chilometrico messaggio vocale, si impiega per comporre un numero e dire le stesse cose col calore di una voce.
Défaillance romantica a parte, all’epoca dei telefoni fissi, quando lo squillo arrivava di notte, nel primo pomeriggio o a orari scomodi «e mo’ chi è morto?», pensavamo.
Beato chi, vogliate perdonare l’amarcord, quei tempi li ha vissuti e oggi può azzardare paragoni e sottolineare differenze.
Quando si andava in vacanza, con l’auto carica di ogni, prima di girare la chiave nella toppa e tirarsi dietro la porta, si controllava l’interruttore della luce e si chiudeva quello del gas.
Oggi per andare davvero in vacanza, bisogna staccare…il telefono.