L'analisi

Mesi-disastro per Trump (ma non per le sue tasche) e ora la rimonta di Musk

Carmen Lasorella

Nella luce accecante di queste giornate torride, «l’effetto flou» non impasta solo i contorni dei nostri orizzonti

Nella luce accecante di queste giornate torride, «l’effetto flou» non impasta solo i contorni dei nostri orizzonti. Si è esteso alla cronaca, annegata nel gran caldo: l’eccezionalità delle notizie sembra normalizzata.Parliamone, continuando a idratarci, aiuta i distratti. Come in fotografia, dove l’effetto flou viene impiegato, i fatti si stanno aggiustando nella morbidezza, alle immagini si riducono le imperfezioni, si distendono le rughe, si stemperano i contrasti, lo smarrimento lascia il posto all’indifferenza, fa premio l’ignoranza. Non garba, ma accade. Nei sei mesi scarsi della seconda presidenza Trump, sono stati smontati uno ad uno i principi e i valori, a cominciare dalla tolleranza e dal dialogo per arrivare all’eguaglianza, che le nostre società si ostinavano a difendere, benché in modo imperfetto. Disarmante l’inerzia generale e inattesa la potenza dell’uragano Trump. Le macerie sono precipitate sul perché degli organismi sovranazionali (Nato, Ue, Onu, Oms, ecc;) e sui rapporti di forza internazionali (Est/Ovest/Sud/Nord), in un mondo più insicuro e destabilizzato, che utilizza le religioni come falseflag.

La politica, sempre più autocratica, che vuole prescindere dalle istituzioni - intanto, dai parlamenti - e che transita dai social (di proprietà per quello che conta, vedi US) è diventata una bacheca di dichiarazioni stentoree: conferme, smentite, ricatti, bugie. Sono cambiate anche le relazioni interpersonali: fiducia e rispetto buttati via, avanti con l’opportunismo e l’interesse, ogni volta un braccio di ferro muscolare. (Se n’è accorto anche il nostro vicino di ombrellone).

Torniamo allora a Trump e al suo ex socio, Musk. Mentre il presidente americano continua ad arricchirsi nella sua politica degli affari - come lui dice a beneficio del Paese - (si consiglia l’ampio articolo di ieri sul New York Times, con un focus sulla situazione finanziaria del tycoon prima e dopo l’elezione, entrando nel merito dei suoi investimenti, dai mercati immobiliari a quelli delle cripto valute e dell’ hi-tech, che volano) l’uomo al primo posto nella classifica dei più ricchi del mondo ha creato la soluzione per non rischiare di diventare secondo. Oltre le minacciose offese, che i due continuano a scambiarsi (c’è il piccolo dettaglio che theDonald è il presidente degli Stati Uniti), Elon Musk ha rotto gli indugi: si è proposto presidente. Semplice! Per lui, potrebbero arrivare altri soldi e potere! Trump docet. L’imprenditore deve essersi mangiato le mani per non averci pensato prima!

Il sondaggio subito appaltato lo conforta: la sua candidatura troverebbe appoggio. Il nome è pronto, nasce «AmericaParty», che detta così sembra l’invito ad una festa, ma Partysignifica anche partito, dunque un partito che si chiama America, che cambia la democrazia dell’America con un tweet, dopo centosettant’anni di storia del bipolarismo politico: Democratici contro Repubblicani? Non più. E se non dovesse essere possibile, si cambierà di nuovo.

Del resto non è proprio Trump il maestro degli annunci? Dazi sì, dazi no, chi gli è contro pagherà salato, magari dal 10 al 70 %, dal 1° luglio, no dal 1° Agosto, chissà?! E poi, le guerre: pace sì, pace no, pace forse. Charlie Chaplin aveva diretto e interpretato quella straordinaria parodia di Hitler che giocava con il mappamondo: dobbiamo aspettare un avatar per ritrovare il sorriso? Troppi morti, intanto, e troppo dolore, mentre i popoli - dai palestinesi agli ucraini – continuano a pagare quel prezzo spropositato che neanche passa più dai numeri e dai danni e che la realtà virtuale non riuscirà a mistificare, mentre i fossati scavati dalla ferocia diventeranno faglie di smottamento tettonico. I player in gioco, da Netanyahu ad Hamas sul versante mediorientale a Putin e a Zelensky su quello euro-russo, per le ragioni più diverse, comunque intrecciate alla propria sopravvivenza, restano lontani da qualsiasi sussulto di responsabilità. Israele oggi è più sicura, dopo aver sbaragliato gli storici nemici quali gli Hezbollah, Hamas, gli sciiti iraniani e gli Houti, ma non è stata mai così isolata nella considerazione internazionale e di segno assolutamente negativo; Putin appare tutt’altro che indebolito, anzi è più minaccioso; Zelensky, invece, dell’abbraccio e del sostegno europeo potrebbe conservare appena il ricordo.

L’Europa, nel pantano di scelte militari subìte, nel medio termine dovrà però impegnarsi a fondo per ritornare nel cuore della Storia. Forse, considerando l’attivismo del presidente francese Macron, che già altre volte ha tirato la volata, un aiuto tanto economico, quanto strategico potrebbe arrivare dalle latitudini latino americane. A Rio de Janeiro, già sede del rilancio dell’accordo tra Unione Europea e Mercosur (il Mercato Comune del Sud), inaugurato sei anni fa, è in corso il 17/esimo vertice delle principali economie emergenti del pianeta. I Paesi del Brics+ (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, insieme dal 2009), cui di recente si sono aggiunte altre realtà eterogenee, tra cui l’Iran, mentre un’altra dozzina di nazioni asiatiche e africane restano associate, esprimono oramai quasi la metà della popolazione del pianeta, che raggiunge il 40% del prodotto globale e oltre il 25% degli scambi mondiali. Ospite il presidente Lula, già in campagna elettorale, considerato che in Brasile si vota il prossimo anno, dunque più attento a preservare gli equilibri, potrebbe vedere l’organizzazione impegnata in una strategia che sottolinei il suo ruolo alternativo e non antagonista nella polarizzazione dell’attuale contesto geopolitico, minacciato anche dai dazi di Trump. Nel programma si parla infatti di ponte tra il nord e il sud del mondo, di pace da ricostruire, di maggiore attenzione all’Africa, alle migrazioni, all’America latina, di sfide da raccogliere per l’ambiente (a novembre si terrà in Brasile la Cop30), mentre la riforma del sistema monetario internazionale, una delle bandiere del Brics+, considerata indispensabile per preservare le economie e la loro autonomia, andando oltre l’egemonia del dollaro, sarebbe lasciata in prospettiva. Dunque una proposta multipolare e cooperativa, tutt’altro che facile, visti gli attori, (tra i Paesi del Brics+ ci sono tre potenze nucleari) ma della quale ci sarebbe estremo bisogno.

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