L'analisi

Tra tregue e promesse di pace uno «spettacolo» già visto nel tormentato Medioriente

Gianfranco Longo

Una tregua che ieri è stata annunciata dal Presidente Usa, Donald Trump, non sviluppa la pace come una prassi, poiché tregua o armistizio sono soltanto momenti di sospensione delle ostilità che vengono frenate per poter riprendere in un qualsiasi altro momento

Una tregua che ieri è stata annunciata dal Presidente Usa, Donald Trump, non sviluppa la pace come una prassi, poiché tregua o armistizio sono soltanto momenti di sospensione delle ostilità che vengono frenate per poter riprendere in un qualsiasi altro momento. La durata di tale cessazione del conflitto dipenderà da vari fattori, primo fra i quali il ritiro dell'Idf dal territorio di Gaza. Se infatti Israele non farà seguire alla sospensione, momentanea, dei bombardamenti sull'Iran, un ritiro controllato e però progressivo dal territorio della Striscia, abbandonando l'idea di occupare Gaza, la tregua così enfaticamente annunciata da Trump si esaurirà in pochi giorni, finendo con l'essere un mero urlo passeggero, festoso, così descrivibile: “Ma nell'esultanza di quel turbine/un bambino, vestito da pipistrello, si accascia singhiozzando” (Derek Walcott, L’uomo carnevalesco, 1969). E chi sarà quel bambino a cadere singhiozzando? Proprio Israele, nuovamente percorso da attacchi e invasioni; e a quel punto cadrà anche ogni tentativo di tregua e speranza di pace. In realtà non siamo vicini ad una Terza Guerra Mondiale, che si presenterebbe già inglobando i vari attori: la guerra non è un'opera teatrale di cui viene annunciata la prima; piuttosto esplode senza che se ne possa preannunciare il momento esatto, lasciandoci tutti nei fatti immersi. Ciò cui assistiamo, invece, è una Terza Guerra del Golfo, iniziata e che evolverà scatenando ondate di terrorismo islamico, e questa volta soprattutto localizzabili in Europa.

Pensiamo alla Prima Guerra del Golfo, alla successiva invasione dell'Iraq alla ricerca di armi di distruzioni di massa..., mentre adesso in Iran sono stati distrutti luoghi di arricchimento dell'uranio per la produzione della bomba atomica: situazione che ha rafforzato il terrorismo islamico dell'Isis, di al Qaida e di Hamas. I risultati di quella violenza sono ancor oggi sotto gli occhi di tutti: disordine politico in gran parte del Medio Oriente e un alto grado di entropia religiosa che si manifesta in una miriade di fazioni armate in lotta fra loro e contro le varie coalizioni internazionali che si sono susseguite negli anni, anni di mera occupazione da parte delle forze di coalizione che, minacciando la ripresa di conflitti sempre più estesi, incameravano tempi di tregua medio-lunghi. Poi qualcosa ha inceppato il meccanismo ben collaudato di un neo-colonialismo: quel 7ottobre del 2023 in cui la tregua sottaciuta e accettata da tutte le parti, si è interrotta. Il conflitto regionale è riesploso in una guerra che possiamo definire Terza Guerra del Golfo. Per il momento sospesa, ma che avrà le stesse conseguenze delle due precedenti: destabilizzazione degli Stati mediorientali in una reificazione dei conflitti che ingloberanno nuovi territori sui quali gli “Stati delle coalizioni” eserciteranno un colonialismo a loro stessi notorio.

Ma in tutto questo scompaginamento di fattori esiste un'altra variabile che disorganizza le vicende e le rende incerte: la Russia, impegnata a denazificare l'Ucraina.

C’è il diritto all’autodifesa e all’autodeterminazione; c'è la risposta a delle provocazioni o a dei veri e propri attacchi, vuoi terroristici, vuoi più coordinati militarmente. Eppure le parti che sono coinvolte appaiono pronte a trascinare altri attori in gioco, avventurieri della ricomposizione, quasi che nessuno abbia sofferto distruzione, morti, feriti, osando persino scommettere sulla durata, facendo promesse riguardo alla gestione di scambi fra prigionieri vivi e fra cadaveri, cioè i prigionieri morti, una nuova semantica della guerra che stiamo imparando a riconoscere quale insondabile margine di un passato che ritorna, sotto terrifiche spoglie, mistificando la realtà, camuffandola. Si tratta, tuttavia, di una realtà che risponde ad una famigerata dimensione, da cui, irretiti, non usciamo e che si chiama: nomos della guerra.

Ma allora a che serve una tregua se nell'antico ius gentium, come in ogni trattato internazionale, serpeggia unicamente il nomos della guerra? Quel continente ricco di historia bellorum, cioè l’Europa, che con affannosa tensione ha sperato di sopravvivere ai propri conflitti per ricostituirsi nella garanzia della pace e nella tutela dei suoi popoli, è attualmente rimosso; dimenticato nel suo decrepito silenziarsi; addomesticato a ripetere slogan; addestrato a imitarsi come la migliore condizione possibile da un punto di vista storico e politico, dileguandosi però dal presente, ripiombato in un sinistro passato europeo, quello delle divisioni, discutendo garanzia dei diritti individuali e tutela delle libertà fondamentali come fossero puro esoterismo. Accade che quel futuro da cui vogliamo scampare, un futuro in cui si rischia di vedersi concretizzata l’aspettativa di guerra, data per assente politicamente, ma non ancora debellata dalla definizione delle relazioni internazionali, continui in realtà a “ripresentarsi”, divaricando le promesse presenti dalle acquisizioni del passato, operando una sorta di by-pass e lasciando transitare al futuro minacce, bonifiche del territorio (come definite dalle milizie serbe le stragi compiute nella Bosnia durante la guerra nella ex-Jugoslavia), dispute territoriali ed eccidi etnici (cos’è la guerra Ucraina-Russia se non un vecchio regolamento di conti?).

E l’Europa che avrebbe dovuto garantire l’attuazione dei programmi di pace, non solo interni, ma anche esterni, dov’è finita? Abbiamo vissuto per molti anni in un antefatto a qualcosa che stava serpeggiando fra noi, e che aveva già evidenziato le sue prime forme, anche in Europa. Dall'antefatto stiamo passando a percorrere l'itinerario verso una Terza Guerra del Golfo, per il momento interrotta soltanto, dimenticando che le precedenti due hanno provocato continue stipule di pace profilando meccanismi di guerra, non risolti, perché non ci sarà pace senza ricomporre i territori attraverso una loro laicizzazione, separando la sfera della fede da quella della organizzazione politica.

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