L'analisi
Il super-turismo in Puglia fa stare meglio anche se fa stare peggio
Vai a un bar a Bari e ordini un caffè e un the (classico, solo classico) al tavolino esterno. Passeggio, relax. Ma poi ti vedi arrivare uno scontrino di 8,20 euro. Ti chiedi se quel caffè e quel the (classico, solo classico) non contenessero filamenti d’oro
Turismofobia. Vai a un bar a Bari e ordini un caffè e un the (classico, solo classico) al tavolino esterno. Passeggio, relax. Ma poi ti vedi arrivare uno scontrino di 8,20 euro. Ti chiedi se quel caffè e quel the (classico, solo classico) non contenessero filamenti d’oro. Smoccoli che quell’esercente è un ladro, pensi di fargli una recensione negativa. E ti riprometti che non ci tornerai neanche sotto tortura. Viaggetto di primavera ad Atene che trovi sia trasformata in una grande capitale europea, sia in una città inaspettatamente cara visto il livello economico. E se nel gruppetto di italiani c’è un greco che si occupa di parlare al ristorante, lo guardano torvo come se fosse un terrorista. Vorrebbero costringerlo ad andare altrove, questo è un posto turistico, non per te. Posto turistico che significa libertà di prezzi. È l’overtourism, bellezza. Il turismo esagerato. Ormai più diffuso al mondo della faccia ingrugnita di Trump.
Fino a una decina di anni fa se parlavi di turisti a Bari dovevi andare sul vocabolario a vedere cosa significasse. Ora in città si parla più ostrogoto che italiano. E non c’è momento del giorno (e in verità anche dell’anno) in cui non vedi gruppi che si incalzano con rischio di tamponamenti. E ansimanti dietro una guida che corre come tutte le guide perché hanno fretta di andare ad acchiappare un altro gruppo. La città è inorgoglita, allora siamo una bella città anche noi. E bar e ristoranti sempre pieni. Pagando, ovvio, 8,20 euro un caffè e un the (classico, solo classico). E chissà quanto una orecchietta e rape. Se per te quegli esercenti sono ladri, un po’ ci sta. Ma in fondo sono solo diventati «turistici».
Né si può parlare più di rapina, vista Atene. Succede più o meno così ovunque, specie per chi (come Bari) è ultimo arrivato. Né granché diverso per altre città di Puglia meno esordienti o una Matera. Cosicché una risposta urge per l’amico che si chiede: scusa, ma a me il turismo cosa mi dà? Mi fa piacere, ma il piacere non è mai stato commestibile. Non sono un ristoratore. Non vendo calamite cinesi né abitini in strada (le donne: sai, sopra il costume). Non gestisco una spiaggia. Non ho un alimentari né un «tutto per la casa». Se vado a fare la pizza devo fare la coda anche dove prima erano loro a buttarmi dentro. E se cerco una casa in fitto, neanche se mi raccomanda Giorgia (la Meloni): tutti b&b. Meno che mai se la cerco al centro. Fa piace il turismo, allora anche Bari è bella. Ma con più effetti collaterali di una cosiddetta bomba «intelligente».
Dice: ma il turismo, anzi quello esagerato dell’overtourism, porterà pure occupazione, vedo sempre in giro i «cercasi personale». Meh, non ci pensa ancora l’intelligenza artificiale. Ma col paradosso (ne ha parlato Gianfranco Viesti in un suo recente studio) delle cifre. Più aumentano gli occupati, più diminuisce il livello medio delle retribuzioni. Un gioco delle tre carte. Occupati quasi mai a tempo indeterminato, quasi mai a tempo pieno. Lavoro povero. Col lamento degli operatori di non trovare quanto gli serve. E polemica annessa: i giovani di oggi vogliono la domenica libera e non lavorare di sera. Pagateci di più, altro che domenica e sera libere. Andiamo all’estero e prendiamo il triplo.
Il turismo trasforma le città più di quanto le città trasformino i turisti. Una novità come può esserlo ciò che un Mark Twain diceva già due secoli fa. Con la differenza fra viaggiare e fare turismo, sibila un addetto alla comprensione del mondo come il sociologo barese Giandomenico Amendola (anch’egli in un libro di questi giorni). Anzi la città si va specializzando, spesso stravolgendosi in quella fiction che il turista di massa e del mordi&fuggi più selfie ha in testa (dice niente Lolita?). Città più care, città dove per vivere o sopravvive devi andare in periferia, città che si svuotano di umanità e di incontri e si riempiono di bipedi in bermuda e infradito, città in cui il pittoresco e il locale l’hanno vinta su musei e, diciamolo, bellezza. Città da orecchiette.
Quanto è intellettualmente chic prenderne le distanze. E quanto è praticamente autolesionistico farlo. Anche Bari come Lecce ha cominciato a far pagare un biglietto per l’uso (e l’abuso) della città. Barcellona ha sgominato i nuovi affitti brevi e Firenze ha inalberato un molto dantesco disdegno per gli indegni. A Venezia trattano i visitatori come appestati e vorrebbero minare corti e canali. E intanto ormai un miliardo e duecento milioni di esseri umani e a volte non umani si spostano di qua e di là per la Terra. Tutti o quasi li prendono come Annibale alle porte, ma nessuno finora ha chiuso quelle porte.
(PS. Dopo Bari eletta città col miglior clima d’Italia, ecco per il quinto anno consecutivo la Puglia col miglior mare d’Italia. E Puglia nelle preferenze nazionali per l’estate dopo Trentino e Sardegna ma prima della Campania. Dico io, come fai poi a lamentarti dell’overtourism?).