L'analisi

Papa Francesco e la coerenza della Spiritualità

Enrico Facco

Appare singolare a chi non è né Vaticanista né uno studioso del Cattolicesimo che il nome Francesco sia stato utilizzato per la prima volta solo dopo duemila anni

Dopo la conclusione del funerale e l’incalcolabile mole di commenti e immagini che hanno accompagnato il saluto a Papa Francesco non sembra possibile dire qualcosa di più, ma è comunque opportuno un sintetico commento sul significato della spiritualità che Egli ha incarnato e ha coerentemente realizzato in tutto il suo pontificato, fin dalla scelta del nome Francesco. Appare singolare a chi non è né Vaticanista né uno studioso del Cattolicesimo che il nome Francesco sia stato utilizzato per la prima volta solo dopo duemila anni. San Francesco è infatti emblema luminoso della spiritualità più pura, della rinuncia al mondo dell’avere per il mondo dell’essere, dove sono radicalmente superati gli angusti e illusori limiti dell’Ego e della coscienza ordinaria che conosce discriminando, separando arbitrariamente ciò che in Natura è indiviso e indivisibile. Questa separazione ha in sé i germi del diabolico, come chiaramente rivelato dall’etimologia del termine.

La sua posizione contro ogni guerra e pro migranti, diseredati, umili – compresi i carcerati e i transgender che ha voluto come compagni dell’ultimo saluto – è parte intrinseca dello Spirito che Egli ha incarnato in perfetta coerenza con l’insegnamento di Cristo. È una posizione tuttavia apparsa a tratti scomoda e non condivisibile ad alcuni perché difficilmente compatibile con la visione del mondo e gli interessi della società, della politica e di chi governa.

La spiritualità, sul piano filosofico e psicologico, è da intendersi come una facoltà di ordine superiore latente nella mente umana, che richiede di essere coltivata e portata alla sua più piena espressione; come tale, è la base fondamentale per la realizzazione di sé fino al livello della sapienza e della santità, percorso difficile comune a tutte le tradizioni filosofico-religiose dell’umanità. La sua realizzazione consente all’uomo di diventare microcosmo del mondo in una visione che ha perso ogni residuo di egocentrica separazione e alienazione. Questo è quanto ha realizzato pienamente l’uomo Francesco e comunicato coerentemente molte volte, come quando, a proposito degli omosessuali, ha affermato: “chi sono io per giudicare?”.

Anche il suo funerale è un grande esempio di questa coerenza. Come commentava giustamente Paolo Mieli al TG1 durante la cerimonia, il suo non è uno ma due funerali: il primo davanti ai potenti della terra, il secondo con i suoi prediletti umili e diseredati. In realtà, sembra più coerente interpretare la cerimonia come un unicum dinamico, che simbolicamente rappresenta la transizione e l’evoluzione dello Spirito, dall’iniziale manifestazione nel mondo convenzionale – dell’avere, del potere, di quello che nel Buddhismo è definito come samsara (il mondo del divenire e della sofferenza) – al mondo dell’essere, dello Spirito, dell’Unità dove non ci sono più distinzioni, giudizi ed ogni dualità e separazione è superata.

In questa dimensione nulla di superfluo ha più senso e si può finalmente riposare in pace nella nuda terra con una lapide altrettanto nuda che solo riporta il nome Franciscus. Ma la morte non è annichilamento, è solo scomparsa dalla vista degli uomini.

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