la riflessione
Sanremo 2025, è stato il Festival della fragilità una nuova forma di bellezza
Da Lucio Corsi a Simone Cristicchi: evviva la normalità e la fatica del successo
C’era una volta la cantatrice calva: nella bellissima opera teatrale di Eugène Ionesco, era un personaggio dell’assurdo, incoerente ma soprattutto impossibile. E, invece, ai nostri tempi, come è stata reale e possibile la co-conduttrice calva Bianca Balti, che abbiamo visto sul palco di Sanremo: ha mostrato coraggiosamente i segni della sua lotta alla malattia, persino le cicatrici. Sì, perché questo è stato il Festival delle fragilità, una nuova forma di bellezza.
Nelle ere passate, un concorrente come Lucio Corsi, magro e coperto come uno spaventapasseri, forse non avrebbe destato tanto interesse. E invece piace a tutti: si cuce da solo gli abiti e si fa gonfia le spalline con pacchetti di patatine, ma è bravo e sa suonare come pochi su quel palco, in due parole è sé stesso, un essere fragile, come possiamo esserlo noi. Canta «Volevo essere un duro e non sono nessuno», sensazione emotiva diffusa e silenziata sui social, che davanti a questo Sanremo normal appaiono vecchi catorci. Persino Fedez ha perso di sicurezza ed è apparso più tenue, come pure lo stesso Roberto Benigni, che non ha preso in braccio nessuno. La superstar Venditti ha parlato di vita e non di successo planetario: «Esistere significa cadere, rialzarsi e sperare». Fragili i cuoricini e quel trucco lacrimoso dei Coma Cose; Simon Le Bon mostra i segni del tempo, perché anche i big invecchiano. E non solo. Sul fronte dei giovani, Maria Tomba è in sovrappeso e canta in pigiama. Il maschilista Tony Effe fa i capricci per la collana Tiffany da 70mila euro e poi si presenta con il rosario. Francesca Michielin cade per le scale e la sera dopo perde il gancio del reggiseno; Giorgia, bravissima, piange per la sconfitta, mentre, a turno, i più trendy – dal fighissimo Damiano ad Achille Lauro – sfoggiano guantini in pizzo e velette, delizie zitelle di un tempo. E, incredibilmente, «bucano» il video più della supersexy Elettra Lamborghini. Sono i nuovi canoni del successo: beltà fa rima con fragilità.
Nel più visto dei Festival sembrano incontrarsi i timori e le incertezze di un universo in bilico, come lo è il nostro. Non ci sono stati i monologhi, non si è praticamente parlato di politica né di guerre (e ne avremmo da dire!) ma è stata anche una fortuna, perché in fondo pretendiamo troppo da un festival della canzone: che musica sia. Il dato realista, sotto sotto, c’era e forse emerge da questa sottile inquietudine, da questo mondo di musicisti che canta come sempre l’amore, ma soprattutto l’Alzheimer della mamma (bella canzone quella di Cristicchi), la paura, l’età, l’abisso. Il Sanremo del vulnus è apparso un elogio della normalità: niente superuomini, addio catene e follie, lo stesso conduttore rigido e schematico Carlo Conti è stato in linea: un normale anche lui, fragilmente ingessato dalle pressioni della Rai.
Il 75mo Sanremo ha messo a nudo quel mondo della musica e della notorietà che si gioca nell’attimo: sul palco basta un colpo di testa (Morgan insegna) o una stecca per finire male. Gli esempi sono tanti: nel Festival del lontano 1968 ad esempio, un giovanissimo e promettente Al Bano arrivò con l’influenza e finì al nono posto più premio della critica, mentre fu eliminato Domenico Modugno, che salì sul palco con La farfalla impazzita dato che la splendida canzone Meraviglioso fu esclusa: parlava di suicidio. Tutto il futuro di una star continua a dipendere dalla performance, un po’ come è richiesto ai comuni mortali ogni giorno. Il mondo scintillante del successo di chi arriva lassù, sul palco di Sanremo, è un mondo fatto di sacrifici e delusioni, di patti difficili con le case discografiche, di discese ardite e di risalite di cui spesso sappiamo poco (parola chiave del festival, l’espressione tarantina BDS). Lacrime di emozione e lacrime di dolore: come nelle vite di tutti, si piange e si ride. Non è oro quello dei tanti lustrini che luccicano, anzi. Ma se negli anni passati si copriva tutto con le pennellate del successo, ora la fragilità esibita – speriamo che non sia una forzatura anch’essa! – è di casa.
Sono i nostri tempi a franare e non possiamo sottrarci all’era della paura: chi ha letto un libro bello come quello di Donatella Di Pietrantonio L’età fragile (Einaudi) vincitore del Premio Strega 2024, può confermare che da sempre siamo vicini alla fragilità. Vorremmo un mondo che non ci ferisca e invece siamo pieni di lupi: vulnerabili perché tutto attorno è precario. Nasce anche un pericoloso feticismo della fragilità e questo strano lato del nostro vivere comune è finito al Festival dei fiori, a loro volta simboli fragili e caduchi.
E allora? Ci deprimiamo pure a Sanremo? No, perché l’ironia ci salverà. Se qualcuno ha espresso forza in questa edizione fragile del Sanremo 2025, sono state le comiche Katia Follesa e Geppi Cucciari, esempi di intelligenza da palcoscenico. E poi i bambini: ne abbiamo visto uno che suonava divinamente e un altro che ricordava tutti i successi festivalieri senza incertezza. Risate e futuro: ma sì, in fondo, basta resistere e chi se ne frega se il mondo è precario. Cantiamoci su.