L'editoriale
Gli affondi di Calderoli e il coro «barese» contro l’Autonomia differenziata
Il tema ruba la scena del Piccinni, quasi monopolizzando il Festival delle Regioni. Prima bocche cucite dei governatori del centrosinistra, poi le esternazioni del ministro leghista hanno scatenato una reazione
L’Autonomia differenziata ruba la scena del Piccinni, quasi monopolizzando il Festival delle Regioni e delle Province autonome. Inizialmente, un patto tacito di rispetto della massima carica dello Stato aveva tenuto in disparte la riforma SpaccaItalia. Davanti al Capo dello Stato, venuto ad omaggiare la Puglia inaugurando la manifestazione nel teatro barese, bocche cucite dei governatori del centrosinistra e boccone amaro ingoiato... finché le esternazioni del ministro leghista Roberto Calderoli non hanno scatenato una reazione.
Il resto lo ha fatto il primo ministro Meloni, che in Puglia ha deciso di manifestarsi solo in spirito, con i videomessaggi, pur avendola scelta come meta delle vacanze estive 2024. Nell’audiovisivo inviato al festival in sua sostituzione, la premier ha ribadito che a suo avviso il regionalismo spinto rappresenta una sfida per le Regioni, le loro classi dirigenti, gli amministratori regionali e locali.
Già il responsabile del Dicastero agli affari regionali e padre della legge statale che consente alle Regioni a Statuto ordinario di chiedere allo Stato ulteriori poteri in diverse materie, aveva letteralmente provocato il fronte del «no» all’Autonomia differenziata, sostenendo che la sua riforma «difende i diritti». Se lo fa, aggiusta solo quelli delle Regioni ricche del Centro-Nord, perché dalle nostre parti sappiamo bene che i diritti del Mezzogiorno saranno avviliti e negati dalla secessione mascherata, che si nasconde dietro il progetto sognato da tempo ed ora realizzato dai potentati padano-veneti, spinti dal vento in poppa dello scambio con il premierato, made in Giorgia.
In più, Calderoli si è azzardato a vantare la sempre annunciata ma non ancora realizzata introduzione dei Lep (pari livelli essenziali delle prestazioni civili, sociali e sanitarie in tutta Italia), dovendo incassare l’ironia del presidente della Campania De Luca, «ci concedete i Lep, sono commosso» e le dichiarazioni misurate del pugliese Michele Emiliano, che da padrone di casa ha contenuto la sua nota verve politica limitandosi ad esprimere preoccupazioni per i servizi sociali fortemente ridimensionati e la sanità cenerentola.
Se a destra «s’ode uno squillo», a sinistra risponde un coro di proteste dei governatori delle Regioni rette da maggioranze democratiche e progressisti, che hanno annunciato battaglia sulla legge di Bilancio: «ci penalizza», ha protestato il presidente della Toscana Giani.
Prima della miccia accesa da Calderoli e del fuoco divampato contro il regionalismo in salsa «verde-padana», il Festival pugliese delle Regioni aveva applaudito l’intervento del Capo dello Stato. E dire che nel richiamare il ruolo delle Istituzioni, che «appartengono e rispondono all’intera collettività», Mattarella ha ripetuto che «tutti devono potersi riconoscere in esse». Da qui il suo autorevole invito alla collaborazione tra «le istituzioni e all’interno delle stesse», alla ricerca di punti comuni e di una condivisione delle scelte, essenziali per il loro funzionamento a vantaggio della democrazia e delle comunità servite. Il presidente della Repubblica ha letteralmente giganteggiato, chiedendo mediazione e sintesi invece d’imporre le proprie visioni, che creano divisioni e contrapposizioni.
Da considerare anche quanto affermato dalla presidente sarda 5 Stelle, Alessandra Todde, nell’intervista alla Gazzetta: «Il neoregionalismo impoverirà i territori». Ha detto in pratica che le assicurazioni del ministro Calderoli sulla gradualità della riforma lasciano il tempo che trovano. La Sardegna è tra le più determinate nel contrasto alla secessione dei ricchi, ha deciso d'impugnarla presso la Corte Costituzionale, perché l’Autonomia differenziata mina perfino le prerogative di una regione a Statuto speciale, «ci impoverisce e sottrae ai sardi risorse essenziali». Di Lep si parla tanto, ma la partita - rinviata da troppi Governi - non è nemmeno cominciata. Che idea si è fatta? «Siamo ancora in attesa di capire quante risorse servono affinché i Lep siano garantiti». Richiedono copertura e finanziamento, si possono impegnare risorse nei limiti permessi dai vincoli di bilancio, ma questo va assolutamente consentito a tutte le Regioni, non solo a quelle che sollecitano maggiori competenze. La presidente Todde non tergiversa affatto: senza risorse, le funzioni rimangono prerogativa statale, non regionale. «Una presa in giro».
Possiamo esprimerci in maniera più che positiva sul Festival delle Regioni, celebrato nella splendida cornice del Piccinni e non solo, anche in centro a Bari. Andando in giro, incontrando i cittadini, avvicinandosi soprattutto alle Istituzioni locali, i governatori hanno potuto tastare il polso della situazione di persona, fuori casa, in trasferta. Così si viene a creare un rapporto di comprensione reciproca, ognuno prende atto di quello che ogni Regione esprime, di quali siano i bisogni e di quanto l’Autonomia differenziata possa risultate deleteria, distruttiva, «ammazza Italia». Perché con un Paese come il nostro, in cui lo Stato non riesce a dare una spinta al sistema scolastico e a distribuire parità d’efficienza dovunque nel sistema sanitario, pensare di puntare sul regionalismo egoista anche su queste materie significa far filare i cittadini del Nord alla velocità di uno Sputnik, ma condannare allo stesso tempo le italiane e gli italiani del Sud, alle littorine del Ventennio. Tutti di serie B, nessuno escluso: le nuove nate e i nuovi nati, le ragazze e i ragazzi, le anziane e gli anziani.
Ed è un Mezzogiorno che si va spopolando, in maniera preoccupante: le zone interne, dell'Appennino, della Basilicata, della stessa Puglia, si stanno svuotando, diventano paesaggi lunari. Abbandonata dalle politiche nazionali, la «bassa Italia» arranca, fa quello che può, ma non riesce a garantire un futuro e un’occupazione stabile ai suoi giovani. Una vera fiumana di ragazze e ragazzi preparati raggiunge il Nord, l’Europa, il mondo, in cerca di lavoro e affermazione. Mette su famiglia, non torna più. Questa fuga dei cervelli, unita alla fortissima denatalità, rende il Sud sempre più debole, sempre più solo, privato delle intelligenze, delle forze più fresche, più colte, di forza lavoro qualificata. Se non fermata subito, la piaga dell’esodo svuoterà completamente il Mezzogiorno, trasformandolo in una landa desertificata ai confini dell’Europa.
Per questo e per quanto tante volte ribadito: ora e sempre «no» all’Autonomia differenziata, nell’illusione di poter, finalmente, contare sull’impegno sicuro, determinato e riparatore del Governo nazionale e dell’intero Paese verso il Mezzogiorno d'Italia!