L'analisi
Non tirate Fitto per la giacchetta, non è un «pivellino» alle prime armi: a Bruxelles saprà farsi apprezzare
Romano Prodi, per due volte presidente del consiglio nonché presidente della Ue, ha detto chiaro e tondo che avrebbe dato il suo autorevole placet a Raffaele Fitto per ricoprire gli incarichi di vicepresidente esecutivo e di Commissario Pnnr con delega alla coesione e alle riforme
Romano Prodi, per due volte presidente del consiglio nonché presidente della Ue, ha detto chiaro e tondo che avrebbe dato il suo autorevole placet a Raffaele Fitto per ricoprire gli incarichi di vicepresidente esecutivo e di Commissario Pnnr con delega alla coesione e alle riforme. Il presidente Prodi conosce uomini e cose e non ha perso tempo nel dare il via libera a Fitto, al contrario di quello che sta facendo la Schlein.
Strano quello che si muove attorno a Raffaele Fitto a destra e a sinistra. Chi lo strattona da una parte chi dall’altra. I consigli non gli mancano, tutti «disinteressati», in fin dei conti sono per il bene dell’Italia. Sbagliano coloro che sono della medesima area politica di Raffaele Fitto che gli consigliano di muoversi a seconda le modalità politiche del sovranismo e sbagliano coloro che gli consigliano di rompere con il sovranismo. Gira e rigira si gioca molto sulla parola sovranismo, quando la via, ovvia, è quella europea. È solo un alibi, dal momento in cui la premier Meloni, con i Conservatori di Ecr, ha preso, diciamo, le distanze dal sovranismo tout court e si è posta come cerniera tra il centrosinistra e la destra europea. Tant’è che la Von der Leyen pratica la politica andreottiana dei due forni: a Strasburgo con il centrosinistra e a Palazzo Berlaymont, a Bruxelles, con una apertura a destra, sulla Meloni. Alle viste della audizione del neo Commissario italiano che terrà con gli europarlamentari, abbondano i suggerimenti. L’appiglio, cui in molti fanno capo, in effetti, sta nel fatto che gli europarlamentari di FdI, del gruppo Ecr di cui è presidente, Giorgia Meloni, votarono contro la elezione a presidente della Commissione europea. Almeno così si dice, e, comunque, la liaison tra le due presidenti sia abbastanza consolidata.
Da quel 18 luglio molta acqua è passata sotto i ponti. Tanto per precisare, Raffaele Fitto è una tessera di un mosaico e se questa saltasse, si innescherebbe una reazione a catena, che metterebbe in crisi la stessa presidenza della VdL. Sennonché , l’organigramma della presidente VdL non nasce come Minerva dalla testa di Giove, ma attraverso complicate mediazioni con i governi che compongono la Ue. Al dunque, come i socialisti insieme al Pd voteranno, Raffaele Fitto, cosi i FdI-Ecr elegeranno la socialista spagnola Teresa Ribeira. Il polo di sinistra e quello di destra saranno costretti ad attrarsi fatalmente. Salvo imprevisti, la VdL riuscirà a varare una squadra di sua stretta fiducia e Fitto è uno che è considerato a lei vicino. C’è da dire che VdL ha costruito un esecutivo molto concentrato su se stessa: una specie di «presidenzializzazione» , il cui paradigma va bene se è incentrato sul cambiamento, invece, va male se si riducesse, miseramente, ad una bieca personalizzazione. Coloro che si professano amici di Fitto e assicurano di sostenerlo e, nello stesso tempo, maliziosamente, gli ricordano la «disavventura» che capitò a Rocco Buttiglione, dimostrano doppiopesismo. Per due volte fu bocciato Rocco Buttiglione e ciò avvenne non perché fu impreparato alle domande degli europarlamentari, ma per la sua ferma coerenza ai valori e ai principi in cui crede, convintamente. Alla prova dei fatti, è un esempio non calzante.
Insomma, ognuno si sente in diritto di dire la sua a Fitto, tuttavia, i più ridicoli sono i Dem che pongono le condizione, altrimenti pollice verso. Non funziona così: il neo Commissario Fitto, da quando è stato designato, non rappresenta, a Bruxelles, il partito di provenienza, ma l’Italia. Vale la pena che alcuni esponenti di FdI si facessero carico di ciò e non gli tirassero la giacca. Non a caso, Giorgia Meloni, consapevole di aver votato contro la VdL, ha posto sul tavolo la candidatura di Fitto come rappresentante dell’Italia fondatrice, per essere seconda come industria manifatturiera e terza come economia. A futura memoria, alcuni esponenti politici subito dopo, hanno consegnato alla segreteria la tessera di partito, perché si sono considerati super partes. Infatti, Raffaele Fitto dovrà fare gli interessi dell’Ue e non del governo che l’ha designato. Visto che il governo Ue a sé ed è super partes e non è per nulla espressione intergovernativa.
Le audizioni entrano in ballo con il Trattato di Maastricht, con l’obiettivo di verificare trasparenza e competenza dei Commissari. A sua volta, Maastricht ha copiato dal Congresso USA, in cui l’audizione è ancora una delle chiavi di volta della democrazia parlamentare.
Detto questo, Raffaele Fitto non è un pivellino alle prime armi, è cresciuto molto e si è fatto apprezzare in Europa prima come parlamentare e, adesso, come ha gestito il Pnnr. Consapevole che il giorno in cui andrà all’audizione, non sarà una passeggiata in carrozza, nemmeno, però, il giorno del giudizio universale. Ne ha viste tante in vita sua e supererà anche questa prova, in bellezza.
È bene fare chiarezza sulle deleghe date a Fitto, per le quali si è molto parlato e speculato a sproposito, come se fosse il «Visconte dimezzato» di Calvino. Entriamo nel merito, la vice presidenza esecutiva gli permetterà di gestire la politica di coesione e le riforme, vigilando sul Pnnr ,a mezzadria con Dombrovskis, degli Stati membri e, perdipiù , di vigliare sulla agricoltura, pesca, trasporti e turismo. Grazie anche all’effetto Pnrr, il Pil italiano crescerà, nel 2024, di quasi 1%. Fatto sta che la credibilità crescerà, nell’Ue, per come il governo italiano gestirà , fino alla fine, il Pnrr. E, comunque sia, Fitto è stato uno dei protagonisti. Lo stesso impegno messo in Italia dovrà metterlo in Europa e se sarà un successo l’esperienza Pnrr potrà ripetersi.
Detto questo, se l’Italia andrà avanti, in base alle coordinate europee, svincolate da pregiudizi e dalle culture politiche del no, siamo fiduciosi di guardare, in qualche misura, il futuro con più ottimismo.