La riflessione
Il flop dell’estate «green» tra auto, smog e poca cultura della natura
Berline di grossa cilindrata insabbiate, conseguenti imprecazioni, sollevazioni popolari e inevitabili polemiche di chi lo considera troppo lungo e impegnativo per potersi godere una giornata di relax in spiaggia
In presenza di un assoluto divieto a percorrere la strada che porta al mare in virtù della decisione di rendere l’estate un po' più green, impedendo alle auto di arrivare quasi fin sopra alla battigia, rendendo il percorso pedo e ciclopedonabile, si è registrata una catastrofe.
Berline di grossa cilindrata insabbiate, conseguenti imprecazioni, sollevazioni popolari e inevitabili polemiche di chi lo considera troppo lungo e impegnativo per potersi godere una giornata di relax in spiaggia.
Questa volta è successo a Gallipoli.
Ma è solo l’ultima in ordine di tempo.
Ed il problema non è soltanto il pugliese perché i turisti non sono solo locali.
E non è neppure un problema di gusto nel violare le norme.
A precorrere l’episodio, illustri precedenti: dai 30 km orari in centro a Bologna, alla creazione di ZTL in altra città o alla realizzazione di piste ciclabili che in altri Paesi non solo sono una realtà, ma assolutamente gradite ed utilizzate da residenti e turisti.
Valga per tutti, l’esempio di Parigi che in occasione delle Olimpiadi ha realizzato ben 60 km di piste ciclabili con annesse 10.000 rastrelliere perché non bisogna dimenticare anche il corretto uso e conservazione dei mezzi, spesso trovati anche nel letto dei fiumi quando andati in secca o drenati.
Bastano queste storture nella gestione dei mezzi green alternativi ad indicarci quanta poca considerazione nutriamo nei loro confronti.
Una simile fine, infatti, per l’auto appena utilizzata non si riesce proprio ad immaginare.
Il problema è piuttosto una nostra grande resistenza al cambiamento culturale nei confronti della fruibilità dei servizi.
Chi vive nelle grandi città, sa bene che in tanti si ostinano ad usare l’automobile anche per andare dal tabaccaio magari parcheggiando in triplice fila anche a rischio di ostacolare il passaggio dei mezzi di soccorso che, a norma di codice della strada, devono essere agevolati anche quando si è regolarmente in marcia.
E, va da sé che, se non si è portatori di handicap o bisognosi della cospicua spesa settimanale, l’uso dell’auto è assolutamente superflua.
Si privilegia, non sappiamo quanto inconsciamente, la comodità nell’approvvigionamento di beni e servizi, salvo poi, però, andare in palestra per perdere peso ed avere una linea impeccabile da sfoggiare anche su quella stessa spiaggia che avremmo benissimo potuto raggiungere a piedi.
O magari trangugiare quantitativi di farmaci improbabili per curare patologie facilmente agevolabili con il movimento fisico.
Quanto inconscio sia non lo sappiamo, ma contraddittorio di sicuro sì, perché, al netto di partecipazioni a manifestazioni stile Greta Tumberg o a sit-in del medesimo tenore, per una manciata di giorni all’anno se le nostre vacanze sono in montagna, ci improvvisiamo ambientalisti convinti i cui buoni propositi svaniscono al rientro dalle ferie quando per raggiungere l’ufficio prendiamo, se va bene una citycar, ma più spesso il comodissimo SUV che ci consente di insultare chi sta più in basso di noi.
Mettendoci in pari con la dose di inquinamento che abbiamo risparmiato alle nostre città durante le vacanze.
La soluzione, allora, non può e non deve venire da una maggiorazione delle tariffe di sosta per i mezzi pesanti, come sembra aver ipotizzato Milano, sull’esempio, per l’appunto di Parigi che l’ha portata a 18 euro, ma una riconversione del nostro sistema culturale che valuti vantaggi e privilegi per la nostra e l’altrui salute a cominciare da quella dei nostri piccoli che, non dimentichiamoci quando ci danno correttamente la manina per attraversare la strada sulle strisce, sono, guarda caso, proprio ad altezza marmitta di scarico.