l'analisi

L’amarezza dell’ex Ilva: produzione al minimo e lavoratori in bilico

Biagio Marzo

Il piano industriale così com’è potrebbe essere approvato dal sindacato, ma quello che non viene accettato è il taglio della forza lavoro: dagli attuali 10.500 si scenderà a più della metà

C’era una questione di feeling tra governo e organizzazioni sindacali metalmeccaniche, la riunione di Palazzo Chigi la sta evaporando. Hanno combattuto insieme per cacciare i Mittal, per pubblicizzare Acciaierie d’Italia, adesso, nella riunione in cui il ministro Urso ha esposto la bozza del piano industriale, i sindacati stanno sul piede di guerra. Fermo restando le buone relazioni sindacali, sono insoddisfatti per ragioni di politica industriale e per quella occupazionale.

Diciamo che la riunione è stata propedeutica, per altri appuntamenti, per arrivare alla presentazione del piano industriale definitivo, da parte del governo, per poi inviarlo a Bruxelles. Siccome il buongiorno si vede dal mattino, i sindacati sono allarmati, per come lo si sta preparando. Chi sono coloro che lo sta suggerendo e con quale fine. Da un lato, non precisa alcuni punti fondamentali di politica industriale molto dilazionata nel tempo, senza che approfondisca il presente, dall’altro lato, l’occupazione è aggravata ancora di più.

Ci si trova davanti al paradosso, invece, di richiamare al lavoro i cassintegrati, si prevedono tagli diretti e indiretti, senza precedenti. Di conseguenza, nel futuro prossimo, lo stabilimento non più con le attuali dimensioni, ma parecchio più piccolo. La situazione di questi mesi è stata desolante: produzione al minimo attorno all’1,5 milioni di tonnellate, impianti fermi, mancanza di manutenzione e sicurezza a rischio.

L’incontro è stato a tre a Palazzo Chigi per il piano industriale di Acciaierie d’Italia: il governo, i sindacati metalmeccanici e i commissari straordinari, il cui impegno è fuori discussione, in particolare, quello di Giancarlo Quaranta, la cui conoscenza delle acciaierie è fuori discussione.

L’atmosfera non era tra le migliori, visto che i sindacati hanno ribadito che non condividono «il metodo e la sostanza» con cui è stata formulata la bozza, illustrata dal ministro Urso. Dove ancorare il piano? Senza ombra di dubbio, ad avviso dei sindacati, all’accordo sottoscritto con Arcelor Mittal il 6 settembre 2018 al Mise. Va ricordato che il 93% dei lavoratori lo votarono. Quell’accordo prevedeva, per sommi capi, la messa in sicurezza subito di 10.700, di cui 8.200 lavoratori delle acciaierie di Taranto, garantendo la contrattualizzazione entro il settembre 2025 degli esuberi rimasti nel 2023, senza ritoccare al ribasso il costo del lavoro tagliando le ore in fabbrica di ciascun dipendente. Chiaramente, impossibile fare riferimento al 2018, dato che i tempi sono cambiati e, altresì, le condizioni endogene ed esogene.

Il piano industriale che il ministro Urso ha esposto, in grandi linee, non è stata una novità per le organizzazioni sindacati: un mix di carbone ed elettrico . Ovverosia, l’Altoforno 2 e due forni elettrici per il preridotto che entreranno in funzione nel secondo semestre del 2027. La costruzione dei due forni elettrici dovrebbe iniziare nel primo semestre del 2025. Mentre l’Altoforno 4 dovrebbe spegnersi, secondo le previsioni, nel 2030. Dell’Altoforno 5 alcun accenno, quando potrebbe essere acceso, ma, a conti fatti, costerebbe parecchio sul piano del suo ritorno in marcia.

Secondo le previsioni, nel 2028, si dovrebbe arrivare a 6 milioni di tonnellate con tutti gli altiforni in funzione. Di questi 2 milioni prodotti dall’altoforno tradizionale, per lavorazione legate all’automotive, invece, 4 milioni di tonnellate con i forni elettrici. Solo così si entrerebbe nei parametri dell’economia di scala. La novità sta che da metà maggio inizia il «pellegrinaggio», a Taranto, dei gruppi siderurgici interessati alla stabilimento. Sono i soliti: l’ucraino Montivest, l’italiano Arvedi, gli indiani Jindal e Mont Steel, la Vulcan Steel Group. Da questa rosa dovrebbe essere scelto il petalo-partner industriale.

Com’è la situazione finanziaria? Non ci sono occhi per piangere: 150 milioni arrivati e in gran parte per la manutenzione, il prestito ponte del Mef di 320 milioni che dovrebbe sbloccarsi quanto prima con il placet di Bruxelles, mancherebbero all’appello 600 milioni, per fare 1 miliardo e all’incirca sarebbe la somma per il fabbisogno annuale di AdI.

In definitiva, il piano industriale così com’è potrebbe essere approvato dal sindacato, ma quello che non viene accettato è il taglio della forza lavoro: dagli attuali 10.500 si scenderà a più della metà. Il sindacato si oppone, ma al momento non ci sono altre scelte: hic Rodhus hic salta.

Privacy Policy Cookie Policy