L'analisi

Una, nessuna, centomila: le mille anime di Bari, città opaca piena di luci

Sergio Lorusso

«Sii felice. Sei a Bari». La frase - quasi un’esortazione rivolta agli indifferenti e a chi per la prima volta giunge in città - è apparsa a fine maggio 2022 nel volgere di una notte, a cavallo tra il mare e i frangiflutti nel cuore del capoluogo pugliese, rigorosamente in rosso su fondo bianco (i colori della formazione calcistica locale)

«Sii felice. Sei a Bari». La frase - quasi un’esortazione rivolta agli indifferenti e a chi per la prima volta giunge in città - è apparsa a fine maggio 2022 nel volgere di una notte, a cavallo tra il mare e i frangiflutti nel cuore del capoluogo pugliese, rigorosamente in rosso su fondo bianco (i colori della formazione calcistica locale).

In questi giorni, tuttavia, intonarla significa suonare note stonate, salvo a non considerarla un imperativo categorico. Un dover essere felici a dispetto di quanto sta accadendo nella «Milano del sud», trascinata in un vortice inatteso, preda di sabbie mobili politico-giudiziarie che ne stanno offuscando quell’immagine un po’ troppo edulcorata che finzioni narrative e fiction sul piccolo e sul grande schermo - unite ad accorte promozioni turistico-gastronomiche sponsorizzate da vari enti territoriali e dalle loro propaggini - veicolano ormai da un quarto di secolo.

Un quadro, quello percepibile, aggravato in queste ore dal riaccendersi di quella guerra di mafia che era data per estinta e che, tra l’altro, aveva costituito per molti il discrimen tra la «vecchia» Bari - con il centro storico inaccessibile - e la Bari «da bere», tutta orecchiette e aperitivi.

Ma qual è la vera Bari? Quella cupa attraversata - specie di notte - dalla piccola criminalità votata al contrabbando e allo sfruttamento del gioco d’azzardo del film LaCapagira (1999) di Alessandro Piva o quella accogliente e solidale dello sbarco di massa dalla nave albanese Vlora, l’8 agosto 1991, e della sua gestione in chiaroscuro da parte delle autorità, raccontata ne La nave dolce (2012) da Daniele Vicari? Quella di Guido Guerrieri, l’avvocato protagonista dei legal thriller di Gianrico Carofiglio, introspettiva, livida e borghese, che della middle class riflette più che i pregi i difetti, dal gossip dei circoli privati alla guerra dell’apparire combattuta a colpi di auto, abiti e gioielli da esibire, dai matrimoni perpetuati «perché si deve» (tanto ognuno fa ciò che gli pare) alle facili fortune seguite da fulminei tracolli, o quella solare, popolare e marinara di Lolita Lobosco, il vicequestore nato dalla penna di Gabriella Genisi, tornata recentemente sugli schermi televisivi con grande successo? Bari è una, nessuna e centomila, si potrebbe dire parafrasando facilmente il titolo di uno dei più noti romanzi di Luigi Pirandello (1926). Anche una città, del resto, come (e più di) un individuo, non può non presentare innumerevoli sfaccettature, infinite contraddizioni, mille volti che contribuiscono a plasmarne l’identità.

L’identità, appunto. Solo che quest’identità sembra essere difficile da tracciare, sembra sfuggire e mimetizzarsi oggi che le semplificazioni propagandistiche cavalcate per anni appaiono sfocate. E la città opaca. A sentire i baresi - intervistati all’indomani del blitz «posto fisso» che ha originato l’invio degli ispettori ministeriali, preludio di un eventuale commissariamento, e il duro scontro politico tra maggioranza e opposizione foriero anche di infelici dichiarazioni - non c’è posto per la sorpresa: «Tanto tutti lo sapevano» è la risposta più ricorrente, quasi che la compravendita dei voti faccia parte del gioco, sia un addentellato automatico e necessario della democrazia rappresentativa. La politica, del resto, si limita ad uno sterile rimpiattino: gli indagati sono stati eletti a destra, sì ma poi sono passati a sinistra; «è colpa tua», «no, è colpa tua», quasi fosse un gioco infantile ritornato in auge per il piacere di chi vi partecipa. Eppure non si tratta di qualcosa di puerile.

Bari dunque non è più solo la città metropolitana attrattiva, proiettata a conquistare il turismo anche internazionale e i grandi eventi tutti paillettes e lustrini, in linea con il suo proverbiale spirito levantino. Oltre le immagini rilucenti da cartolina c’è di più. Un mondo opaco e ambiguo, che si muove sottotraccia, spesso silenziosamente, dove non è facile separare il grano dal loglio.

Ma di questo, probabilmente, sono consapevoli i suoi abitanti, come ci insegna la saggezza popolare racchiusa in un detto che domina uno dei luoghi cult della città, consacrato al culto di cozze, polpi e birra: «San Nicola proteggici da le rizz vacand».

Perché dal riccio vuoto, che si svela all’improvviso differente da come sembrava, ci può salvare soltanto l’intercessione divina.

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