I retroscena
Viva il cinema dell’impegno: non ha vinto Garrone però trionfa il suo stile
Le sette statuette a Oppenheimer sono anche la dimostrazione che il grande schermo continua ad essere resistenza, racconto, confronto su temi fondamentali
Delusi? Un po', perché Io capitano, di Matteo Garrone è un grande lavoro internazionale da Oscar. Ma le scelte dei premi 2024 vanno tutte nella direzione di questo film, che è l'impegno: l'arte del cinema come politica, come reazione alla follia che ci circonda. Non cadiamo nel patriottismo italiota. Non ha vinto Garrone, ma ha vinto anche il suo stile, la sua urgenza di denuncia e di lotta.
Per una volta, vediamola da un punto di vista planetario, facciamoci emozionare da un orizzonte capace di legare i grandi temi universali, quelli che oggi sembrano franare sotto i colpi dell'inumano: le sette statuette a Oppenheimer sono anche la dimostrazione che il grande schermo continua ad essere resistenza, racconto, confronto su temi fondamentali. Come ha fatto il regista Christopher Nolan, da sempre snobbato dagli Oscar e ora trionfante, con il suo meraviglioso biopic sul padre della bomba atomica Robert J. Oppenheimer. Il film per qualche risicata minoranza sarà stato pure un «polpettone»” lungo, ma ha il pregio di raccontare in modo ineccepibile una fase della nostra Storia che non si è mai estinta, quella degli affari al servizio della guerra. E non sono gli stessi temi di Io capitano?
Quel filo sottile che lega il cinema alla realtà e alla Storia continua a rivelarsi vincente. E, ancora, lo stesso messaggio contiene il premio ricevuto da La zona di interesse, un lavoro quasi claustrofobico di Jonathan Glazer, che però porta in primo piano la «normalità» del male, quell'Olocausto raccontato con la vita quotidiana in una casa accanto ad Auschwitz, con l'omertà e i silenzi e la compartecipazione di chi – ieri e oggi – lavora col diavolo e si autoassolve.
Si possono dare nazionalità a queste tematiche? Affatto, così come non ha tempo né spazio Io capitano, odissea di due migranti verso l'Italia, che spazia tra miraggi e crudeltà, in un crescendo di fantasia e tonnellate di racconto realistico, quello che un tempo si chiamava Verismo. Ironia della sorte... Matteo Garrone più che sconfitto nella notte degli Oscar è stato sconfitto ieri dal Televideo Rai, nella notizia che riassumeva la trama del film, dicendo che si tratta di un film sul comandante Schettino (quello del disastro della Costa Concordia!). Nemo propheta in patria e questa Patria di cui si parla sempre a sproposito alla fine deve essere un mondo, in cui dobbiamo allargare il nostro sguardo, varcando muri. Quelli che i migranti di Io capitano vorrebbero abbattere, morendo di sete nel deserto, pagando con la vita e con ogni ultimo risparmio o alito di respiro la voglia di raggiungere la nostra «Merica». Lo spiegherà Matteo Garrone al Teatro Petruzzelli di Bari, dove il 17 marzo riceverà al Bif&st di Felice Ludadio il «Federico Fellini Award for Cinematic Excellence». Un applauso in più, insieme ai tanti che gli saranno tributati, il regista lo merita per la decisione di proseguire il suo viaggio: da aprile porterà il film in Senegal, nei villaggi più remoti, con degli schermi mobili che permetteranno a giovani come il protagonista Seydou di rispecchiarsi e di commuoversi in una storia che è terribilmente consueta.
Sono questi i Sud del mondo che si ricollegano grazie al cinema dell'impegno. Sì, il grande Martin Scorsese è stato snobbato e Lily Gladstone, protagonista del suo film Killers of the Flower Moon sarebbe stata la prima nativa americana a vincere a Hollywood. Ma questi premi hanno risarcito le... povere-creature-donne con quel grido vittorioso per Yorgos Lanthimos, regista greco che ha folgorato quest'inverno un pubblico amplissimo. Povere creature! è ancora un film nel segno dell'impegno: l'ottima interpretazione di una strabiliante Emma Stone rivela non solo un'attrice under 40 più che giustamente premiata, ma anche quell'omaggio alla libertà femminile (che qui non si confonde con il sesso, come dicono i criticoni!) ancora oggi maldigerita in forme diverse ad ogni latitudine. Qualcuno voleva un premio anche per Barbie? Siamo ad altri livelli con Lanthimos, Leone d’Oro a Venezia, che ha creato un film eccentrico, pienissimo, da vedere e rivedere, molto più di un remake della saga di Frankenstein. Ci fa riflettere sulla questione femminile nell'anno di C'è ancora domani, ma anche sulla fanta/scienza, sull'intelligenza artificiale, sulla (a)moralità della ricerca. Insomma, in questi premi Oscar, per chi va a cinema e per chi non ci va ci sono messaggi per tutti. Impegniamoci, torniamo umani.
L'arte per l'arte non esiste, o almeno non può esistere in questi tempi di emergenze umane che rodono la coscienza. Le ingiustizie, le persecuzioni, i disastri della povertà. In un universo ineguale, dove ascoltiamo ogni giorno notizie di profughi trucidati mentre si azzuffano per un po' di cibo che gli piove dal cielo, l'arte è chiamata alla partecipazione e, come ha sempre fatto, è lì, con la sua intelligenza. E forse non è un caso che alla prossima Biennale di Venezia, nel Padiglione del Vaticano, detenute e detenuti saranno protagonisti delle installazioni. Insieme al discusso e bravo artista Cattelan che torna dopo 25 anni: è quello dell'opera che fece scandalo, col Papa colpito da un meteorite. Sì, il meteorite delle ineguaglianze ci sta investendo e non possiamo solo spostarci. Tocca a noi agire.