L'analisi
Geolier e Bigmama, se la compagnia cantante non pensiona la scuola
Che dopo Sanremo continui la scia di notizie sui cantanti, ci sta. Rientra nella logica della pubblicità che ne accresce la fama, impedendo che cadano rapidamente nell’oblio favorendone il perdurare negli anni a venire
Che dopo Sanremo continui la scia di notizie sui cantanti, ci sta. Rientra nella logica della pubblicità che ne accresce la fama, impedendo che cadano rapidamente nell’oblio favorendone il perdurare negli anni a venire. Ma che debbano essere reclutati quali sostituti di chi per mestiere è preposto nelle scuole alla comunicazione con i ragazzi, obbiettivamente, lascia un po’ perplessi.
Geolier in cattedra, addirittura alla Federico II di Napoli, su invito del Rettore per raccontare quanto siano importanti impegno e fatica per raggiungere risultati nella vita. Assolutamente giusto ed ammirevole quanto realizzato dal nuovo rapper e che si vuole, con le migliori intenzioni, condividere con i più giovani tra i loro seguaci. Ma delegare tale importante funzione - base della pedagogia da che mondo è mondo - a chi fa un differente mestiere e a digiuno dei principi base dell’insegnamento, è tutt’altra cosa.
Non tanto più distante Big Mamma, su un podio ancora più alto, se si vuole. Ha parlato al Palazzo di vetro dell’Onu a New York dove ha raccontato la sua esperienza di vita su crescere e guardare al futuro. Un’orazione davanti ad una platea internazionale di 2000 studenti, ragazzi e ragazze tra i 16 e i 17 anni, a parlare di temi che l’hanno riguardata da vicino e che riguardano anche molti di loro, vittime e carnefici insieme deve presumersi: bullismo, cyber bullismo, body shaming. Sicuramente aver vissuto questi fenomeni sociali sulla propria pelle li ha resi degli specialisti, ma senza l’ossatura portante di un docente, per aver saltato una fase pedagogica formativa che è alla base della costruzione di un buon insegnante.
Assolutamente pregevole quanto da loro fatto - e soprattutto l’avercela fatta, grazie alle loro capacità e caparbietà - ma ritenere questi interventi spot salvifici di una scuola in crisi d’identità e di valori è un concetto difficile da abbracciare e condividere. La scuola dovrebbe essere, per definizione, le due cose in una.
Esempi ve ne sono. Basti pensare ad un Roberto Vecchioni che non ha solo cantato e corretto versioni di latino e greco, ma si è anche interfacciato con i suoi studenti sui temi della vita col suo bagaglio di empatia che solo la palestra quotidiana dei banchi gli ha fornito. O in tempi molto più recenti a Vincenzo Schettini che insegna una materia non proprio amabile come la fisica, ma che in virtù della sua empatia ci ha convinto che ci piace.
Ecco, è qui che si annidano quegli stessi valori che i due giovani cantanti intendono trasferire, con la differenza che un docente empatico ha in più dalla sua, continuità e conoscenze pedagogiche che fanno da struttura portante agli insegnamenti che si vogliono trasferire ai ragazzi. Per citare un filosofo noto ed ormai molto gettonato nelle trasmissioni televisive come Umberto Galimberti, «la scuola italiana quando ci riesce istruisce, ma non educa. Inutile chiamare gli psicologi, i docenti al posto di parlare con i genitori dovrebbero ascoltare gli studenti e parlare con loro». Per poi ricordare che quella dell’insegnante non è un mestiere, ma passione o disposizione psicologica senza le quali si seguono soltanto i programmi ministeriali cercando di completarli entro la fine dell’anno scolastico.
Come non condividere quando reclama carisma ed empatia che non si vincono insieme al concorso che, invece, misura soltanto la preparazione culturale dell’aspirante insegnante e la necessità di pretendere questi due requisiti dopo averli accertati con test psicoattitudinali profondi che valutino la capacità di un docente di «capire cosa passa nella testa e nel cuore di chi si ha davanti».
Richiama addirittura il palcoscenico ed i corsi di teatro che dovrebbero fare gli insegnanti per misurare la loro capacità di relazionarsi con gli altri, per far sì che si rapportino agli studenti e ai loro valori individuali, come soggetti concreti e non come figuranti. Evoca il palcoscenico perché è così che definisce la cattedra. E per lo stesso motivo si dichiara favorevole all’abolizione della presenza dei genitori nelle scuole medie superiori. Perché l’insegnante parli con l’alunno direttamente, senza la loro intercessione che, a differenza del passato, operano dei veri e propri atti di protezionismo nei confronti dei figli dei quali si ergono ad amici senza valutare il disvalore di tale operazione.
Senza andare troppo indietro nel tempo, un ridimensionamento sarebbe opportuno anche ai nostri giorni. Senza arrivare al libro Cuore dove, per ignoranza, mancanza di tempo, ma anche timore reverenziale nei confronti del maestro, i genitori delegavano totalmente la gestione dei ragazzi dando, in ambito familiare, cose assolutamente differenti, per quanto complementari che ne forgiavano la personalità accompagnandoli ad un’età adulta senza traumi. Senza che i genitori si interessino soltanto alla promozione con voti alti, ma alla formazione dei propri figli.