La posizione

Il sorriso di Ilaria Salis contro il cielo nero che «soffoca» i diritti

Gino Dato

A sorvegliare la giovane, a tenerla per il guinzaglio, un’altra donna, delle forze di sicurezza, che la trascinava per una catena. Come un cane

Una morsa attanaglia l’Europa. Una morsa stringe gli uomini liberi. Il sorriso che Ilaria Salis ha sfoderato è un antidoto, il più dolce e discreto, contro la lugubre atmosfera nelle quale si è aperto a Budapest il processo a carico suo e degli altri due imputati, di nazionalità tedesca. A sorvegliare la giovane, a tenerla per il guinzaglio, un’altra donna, delle forze di sicurezza, che la trascinava per una catena. Come un cane.

Ma è il suo sorriso, più che l’assoggettamento allo stato brado, quello che colpisce. Ancor più delle catene, delle manette ai polsi e dei ceppi di cuoio con lucchetti che tenevano legati mani e piedi. Accanto a lei, sul banco degli imputati, i due coimputati, un uomo e una donna tedeschi, anche loro accusati dell’aggressione che avrebbero compiuto nel febbraio scorso in una strada della capitale ungherese nei confronti di estremisti di destra.

È il sorriso di Ilaria quanto ci commuove di più, al di là della prostrazione e della vergogna di una donna ridotta alla schiavitù, alla condizione di un animale.

Che cosa vuol raccontare quell’apertura dello sguardo se non un atto di conciliazione? In primo luogo è il tentativo di aprire le finestre della libertà dopo mesi di detenzione sottoposta alle angherie dei suoi carcerati. È il sorriso del prigioniero verso il suo carceriere. È il sorriso del debole nei confronti del più forte che lo tiene in ceppi. E’ il sorriso di chi perdona per quello che sta subendo.

Il padre non parla di quel sorriso della figlia, ma ne spiega le ragioni quando invita tutti noi, spettatori inermi, quasi a guardare come quel barlume di donna si è ridotta, come ha il viso e i capelli rovinati dalla mancanza di cure.

Quel sorriso rimane incollato addosso ai carcerieri. Ma non solo. Quel sorriso rimane impresso come un marchio d’infamia addosso a tutti gli uomini liberi d’Europa, che non sanno cosa significa la mortificazione di un arresto e di una detenzione quando a motivarlo è la lotta delle idee.

In punta di diritto, secondo il diritto di un Paese straniero, non sappiamo quanto Ilaria sia innocente o colpevole, ma quello che sappiamo per certo è che, alla luce di norme umanitarie acclarate e condivise, non si possono ridurre in condizioni bestiali gli esseri umani. L’umanità è andata tanto avanti nella conquista dei diritti che, anche in assenza di principi e virtù, indietro non possiamo tornare. Ma i venti che soffiano sull’Europa sembrano congiurare contro le albe serene e i tramonti intensi. Si abbattono sui nostri figli che diventano candidati Regeni quando la ventata degli estremismi imperversa e il cielo si fa nero.

C’è piuttosto da chiedersi, allora, se un sorriso può bastare a difendersi per quanti non sanno contrapporsi a testa alta. Se la tragica mistura di odi, conflitti terrorismi non debba esigere dagli uomini liberi, ma spesso indifferenti, un gesto più deciso e una contrapposizione più forte contro quanti, nella battaglia delle idee, accarezzano il ritorno della notte delle libertà. Nonostante tutto.

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