L'analisi

La rivolta dei trattori è la realtà che sfida l’economia «virtuale»

Enzo Verrengia

«A gennaio ci vedrete ovunque nel Paese, come non avete mai sperimentato prima, se la proposta irragionevole non viene ritirata ora» ha tuonato la voce del leader di una protesta che va allargandosi dalla Germania all’intero Vecchio Continente

«Campagna! Comm’è bella ‘a campagna» cantava cinquant’anni fa James Senese nel brano d’esordio del gruppo Napoli Centrale. Parole urlate a voce roca che escludevano ogni amenità bucolica. Infatti il testo successivo era una disperata filippica contro lo sfruttamento della manodopera contadina e delle impervie condizioni climatiche cui viene sottoposto chi lavora la terra: «Chiove o jesce ‘o sole…»

Un’aspra lezione cui avrebbe dovuto riandare il cancelliere tedesco Olaf Scholz prima di varare il taglio di un miliardo di euro ai fondi per l’agricoltura, stabiliti nel dicembre del 2023. Mossa dettata dalla necessità di far «quadrare i conti», come sempre, quando ci si muove nelle dinamiche paneconomiste dell’Unione Europea. Più specificatamente, un deliberato volto a contrastare la concorrenza della Polonia, di suo «attaccata» dal dumping dell’Ucraina, che persiste malgrado la guerra. Vengono così aboliti il sussidio sul diesel e l’esenzione della tassa sui veicoli agricoli. Il governo federale ha bisogno di 480 milioni di euro per coprire le voragini nel bilancio dello Stato.

Di qui la «rivolta» dei trattori, simboli cingolati dell’agricoltura autentica, che non cede al mosaico tecnofinanziario della globalizzazione. «A gennaio ci vedrete ovunque nel Paese, come non avete mai sperimentato prima, se la proposta irragionevole non viene ritirata ora» ha tuonato la voce del leader di una protesta che va allargandosi dalla Germania all’intero Vecchio Continente. Promessa mantenuta e quindi allargata al settore primigenio dell’equilibrio sociale e produttivo di ogni Paese, infinitamente più concreto dei vaneggiamenti su start up, smart working e fumisterie di un’economia virtuale che da decenni ha perduto ogni contatto con la concretezza della quotidianità.

I trattori di Bologna (e anche di Foggia) e le recriminazioni dei proprietari di aziende agricole già messe in ginocchio dalle inondazioni fanno tutt’uno con i diritti rivendicati dai comparti agricoli dei lander germanici e di nazioni per la gran parte dipendenti dal mercato dei beni rurali. E di tutto questo i grandi circuiti mediatici danno poco o nessun conto, se si eccettua qualche striminzito servizio schiacciato fra la cronaca nera, costantemente al picco di audience, i reportage sui teatri di guerra e il cicaleccio dei politici in gestazione pre-elettorale.

Accadde lo stesso sul finire degli anni ‘70, allorché un cartello di cui faceva parte anche la Fiat dell’epoca, avanzò l’ipotesi di trasformare la Capitanata in una sconfinata piantagione di girasoli per ricavarne olio industriale, a costi notevolmente più bassi delle colture tradizionali del territorio. È recente, delle scorse settimane, l’abolizione sancita dal governo italiano dell’esonero Irpef per coltivatori diretti e imprenditori agricoli.

Negli scorsi decenni fecero scalpore i tre milioni di litri di latte che andarono perduti durante la protesta in Sardegna secondo le stime della Coldiretti. Per fortuna non finirono tutti a imbiancare l’asfalto di quella patina candida e densa. Alcune migliaia di litri furono profusi in beneficenza, altri dati in pasto agli animali. Restava però lo spettacolo desolante di bidoni da cui fuoriusciva il liquido associato alla vita stessa e alla storia della civiltà alimentare.

Seguirono i «forconi». Era il nome dato al movimento nel 2012 dal fondatore, Mariano Ferro, imprenditore agricolo di Avola. Il crollo finanziario e sua la ricaduta nei meccanismi produttivi peninsulari erano un’emergenza. Cresceva il rifiuto degli obblighi derivanti dall’adesione alla moneta unica, mai davvero compresa, la voglia di riprendersi spazi perduti, il bisogno di uscire dalla rinuncia, dal sacrificio, dall’asservimento alla geopolitica europea ritenuta estranea.

In dodici anni lo scenario si è incupito. Così, malgrado le divisioni interne, gli eccessi, i moniti di chi temeva la deriva incontrollata, ai forconi sono sopravvenuti i trattori, che avanzano con rombi da carri armati al posto della locomotiva di uno sviluppo imploso.

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