Il commento

Dall’autonomia alle risorse, la parità Nord-Sud è sempre più una chimera

Valentina Petrini

La prossima settimana (16 gennaio) inizierà al Senato la discussione sulla Legge Calderoli, Autonomia Differenziata, e buona pace al principio di perequazione

Non è una notizia, da giorni parlamentari d’opposizione e giornalisti non ne fanno mistero e non sono arrivate smentite: nel Fondo Perequativo per aiutare il Sud a risalire la china sono rimaste le briciole. Quindici anni fa ci avevano promesso 4,4 miliardi per provare a recuperare il gap con il Nord su sanità, istruzione, infrastrutture. Ma le promesse, si sa, sono elettorali, poi svaniscono. Di quei miliardi si sono perse le tracce per diverse leggi di Bilancio e ora l’amara scoperta: sono rimasti 900 milioni scarsi.

La prossima settimana (16 gennaio) inizierà al Senato la discussione sulla Legge Calderoli, Autonomia Differenziata, e buona pace al principio di perequazione. Era una promessa nemmeno tanto equa ma comunque necessaria per subordinare la riforma federale a stanziamenti che consentissero alle zone svantaggiate di non soccombere.

«Taranto moderna produce acciaio e ghisa, raffina petrolio e procede veloce verso un grande avvenire» (Corriere della Sera, 1964). Del Polo siderurgico di Taranto costato 350 miliardi di vecchie lire, per esempio, diceva il presidente della Repubblica Saragat: «Darà i suoi frutti», «lavoro, ricchezza, benessere». Doveva essere la rinascita del Sud. «Lo Stato ha preso seriamente coscienza della questione Meridionale». «Quella fabbrica metterà fine al divario tra Nord e Sud.». Come no!

Che impressione rileggere la storia alla luce del disastro presente. Nel 2009 - al governo c’era Silvio Berlusconi - la Lega, suo alleato, volle la legge delega sul federalismo fiscale. Che - oltre quarant’anni dopo Saragat - il deficit strutturale tra le diverse aree del Paese sia ancora una piaga non è un’opinione. Quindi Federalismo ok, ma almeno con un meccanismo di compensazione per noi poveretti. Bella idea, ma pur sempre solo un’idea, ancora una volta rimasta in un cassetto.

Passano 12 anni, arriviamo così al 2021, governo Conte 2: nella legge di bilancio vengono stanziati 4,6 miliardi da spendere tra il 2022 e il 2033 per dare sostanza al famoso Fondo perequativo nel frattempo rimasto solo su carta. Poi si sa, in Italia gli esecutivi cadono come le foglie dagli alberi in autunno. Arriva Draghi. Il dossier finisce nelle mani dell’ex ministra Mara Carfagna (oggi deputata di Azione) che - le va riconosciuto - difende non solo l’idea ma anche lo stanziamento. Cade anche Draghi, arriva Meloni. C’è Raffaele Fitto (Maglie), pugliese doc e anche altri ministri e personalità di spicco di questo governo sono del Sud, non c’è da preoccuparsi, avranno a cuore le sorti del loro Mezzogiorno: Alfredo Mantovano (Lecce), Nello Musumeci (Militello in Val di Catania). In effetti un po’ pochine tre personalità su un’intera squadra di governo. Ma comunque tre ministri di peso. E invece, niente. Il Fondo viene prosciugato, nel silenzio generale.

Sul sito del governo trovate la conferenza stampa di fine anno della premier Giorgia Meoni (https://www.governo.it/it/articolo/conferenza-stampa-del-presidente-meloni/24717). Se cercate nel testo la parola «Mezzogiorno» escono due risultati. Contenuti in uno stesso pensiero: «L’autonomia stabilisce il principio che se tu gestisci bene le tue competenze e le tue risorse, lo Stato può valutare, nel rapporto tra Regione e Stato - quindi non nel rapporto tra una Regione e un’altra -, di darti altre competenze da gestire. Questo è il tema dell’autonomia e io penso che possa essere un volano anche per il Mezzogiorno. Penso che possa essere un volano anche per il Mezzogiorno la responsabilizzazione della classe dirigente, perché poi non mi stupisce che i primi a schierarsi contro l’autonomia siano quelli che, per esempio, spendono peggio i fondi europei. Non mi stupisce, ma credo che un meccanismo di responsabilizzazione da Nord a Sud faccia semplicemente andare avanti e meglio quelli che sono più bravi».

Se cerchi invece la parola «Sud» nel testo del discorso questi i risultati. Chiede Giuseppe Marco Trombetta (Giornale Radio): la riduzione del divario tra Nord e Sud sarà garantita? Meloni: «(...) Non credo nelle sperequazioni tra Nord e Sud (...), l’autonomia non si applica nel senso che racconta qualcuno: tolgo a una regione per dare a un’altra regione».

Sarà! Ma senza soldi per colmare quel gap strutturale che obiettivamente e con dati alla mano ci divide dalle nostre sorelle e fratelli del Nord Italia, continueremo a rincorrere una parità impossibile. E anche ad accettare rassegnati che l’aspettativa di vita più alta si concentri nelle regioni del centro Nord (al vertice la Pa di Trento con 84,2 anni) rispetto a quelle del Sud con la Campania fanalino di coda con 80,9 anni. Se ha ancora un senso esprimere la democrazia attraverso il voto, è importante che si sappia prima delle elezioni europee.

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