La riflessione
È la forza dell'immaginazione l'unica vera arma contro la paura della fine
L’orizzonte da alcuni anni non si rasserena e ci lascia nella misera condizione di osservatori vigili ma inermi
La guerra? Le carestie? La salute? Le violenze? Nella scala delle nostre ansie, la paura delle paure, quella che tutte le altre sovrasta, è la paura della fine. Con la quale non possiamo non fare i conti se ascoltiamo la voce di Lucio Anneo Seneca. Il filosofo, in una lettera al governatore della Sicilia Lucilio, annotava: «Sono più le cose che ci spaventano di quelle che ci minacciano effettivamente, e spesso soffriamo più per le nostre paure che per la realtà».
Ebbene sì, una paura assai soffusa e indistinta ci attanaglia in particolari circostanze, una delle quali è la «fine» di qualcosa, tanto più di un tempo, di un «anno», e l’irruzione del nuovo. Come la stessa parola suggerisce, carichiamo questo evento di un valore quasi escatologico, per la sua stessa naturalezza lo investiamo di simboli, un rito di passaggio che da un lato rompe l’ordine delle cose e dall’altro riporta tutto nell’alveo del quotidiano che si ripete. La paura per la fine (dell’anno) veniva un tempo narcotizzata - e gli ultracinquantenni lo ricorderanno - con il saluto al vecchio che tramontava attraverso le cascate di oggetti usati che venivano scaraventati dai balconi e quei fuochi d’artificio che, nonostante tutto, continuano a mietere vittime tra gli imprudenti.
Oggi è meno semplice giocare con le anticaglie a sovvertire l’ordine delle cose. È vero che sono stati 10,6 milioni gli italiani in viaggio a Capodanno, oltre un milione in più dello scorso anno, ma viviamo comunque una età dell’incertezza e la catena di terrore-orrore, di guerre-carestie-pandemie, che ci ha investito come ha ricordato nel suo discorso il presidente Sergio Mattarella, acuisce una paura costitutiva, che ad alcuni toglie il sonno.
Potremmo definirla quasi una patologia collettiva che mina e può pregiudicare lo stato di salute dell’intero Paese. L’orizzonte da alcuni anni non si rasserena e ci lascia nella misera condizione di osservatori vigili ma inermi di una geopolitica che squassa gli equilibri e purtroppo li lascia nelle mani di imprenditori della paura.
Come dominarla questa paura e non farsi sopraffare? Ancor più in una congiuntura che rimane fluida? Non ci sono ricette ma solo approssimazioni.
Proviamo con il coraggio? Alcuni si fanno forza e chiedono una mano alla Fortuna, una dea bendata di cui non sempre ci si può fidare, giacché spesso opera in combutta con il caso. Il coraggio, dunque, anche quello civile, non basta e non risulta essere il miglior antidoto alla paura.
E se la paura fosse alimentata dalla mancanza di immaginazione? «Particolare forma di pensiero», la definisce la Treccani, «che non segue regole fisse né legami logici, ma si presenta come riproduzione ed elaborazione libera del contenuto di un’esperienza sensoriale, legata a un determinato stato affettivo e, spesso, orientata attorno a un tema fisso; può dar luogo a una attività di tipo sognante, oppure a creazioni armoniose con contenuto artistico, o anche, con un meccanismo che si riallaccia all’intuizione, a conclusioni ricche di contenuto pratico».
Dove fluisce, l’immaginazione genera un rapporto fecondo con il mondo che ci circonda, schiude gli orizzonti e offre inedite vie di uscita proprio quando il ripiegamento su noi stessi sembra dominarci.
Per la ripresa del Paese e della politica, serve allora l’immaginazione, la sola in grado di fecondare il coraggio.