L'opinione

Se il «green» restituisce speranza e lavoro in un meridione che rivive

Bepi Martellotta

«Ebbene, in tempi bui, fatti di un Pil che cala, di un’inflazione che galoppa, di una soglia di povertà che si va allargando in Italia, di neet che crescono più dei disoccupati a termine e di pensionati che aumentano più dei lavoratori, un raggio di sole c’è»

Si chiama «Italian green factory» ed è un’azienda che opera nel difficile Sud. Fa parte del gruppo partenopeo «Tea tek» ed è tutta made in Napoli. Si occuperà di «transizione ecologica», tema assai abusato nell’ultimo anno e che, sostanzialmente, significa pulire il mondo, ovvero trasformare il principio della tutela ambientale in business economico.

Nasce, questa azienda, grazie ai progetti finanziati dal Pnrr, altro tema particolarmente abusato nell’ultimo anno, e si avvantaggerà dei benefici fiscali e degli incentivi previsti per chi investe nelle aree Zes (altro acronimo stra-abusato nell’ultimo anno). Succede a Napoli, nel profondo Sud, quello che non innova, non produce, sforna disoccupati, fa fuggire all’estero i «cervelli» dei ragazzi laureati.

Quello delle periferie dove violentano bambine, delle piazze dove spacciano i pusher, delle baby gang che non sanno che fare e bullizzano i passanti. Quel Sud dove nei campi ci vanno a lavorare i braccianti tunisini e dove nei ristoranti prediletti dai turisti lavorano i lavapiatti arrivati dal Marocco. Temi, questi, stra-raccontati sui giornali e iper-narrati nei salotti televisivi.

Sì, sorgerà a Napoli, con investimenti di 28 milioni di euro e la ri-assunzione di 312 lavoratori rimasti per strada per quattro anni: dove si fabbricavano aspirapolveri col marchio statunitense Whirpool, presto si produrranno pezzi per impianti fotovoltaici e sorgerà un laboratorio di ricerca dedicato al fotovoltaico. Sorgerà a via Argine, un rettilineo che parte dalle pendici vesuviane e arrivare sino a Ponticelli, quartiere storico del centro partenopeo. Un miracolo tutto meridionale che, forse, ci aiuta a capire cosa c’è dietro quegli acronimi abusati: green, Pnrr, Zes. Ecco cosa vogliono dire quelle parole calate dentro il famigerato «Sud».

Raccontano, quelle parole, di una bella signora di 35 anni: si chiama Desiré Cocozza e ha 35 anni. Ha una bimba di sei mesi e insieme ai 311 colleghi che erano rimasti per strada dopo il bye bye della multinazionale americana Whirpool, quando aveva deciso non fosse piu’ conveniente fabbricare elettrodomestici in Campania. È andata, Desiré, a firmare la sua nuova assunzione, accompagnata dal marito e dalla piccola Sofia, nata lo scorso aprile. Chi l’avrebbe detto a Desiré, quando stava nel letto di un ospedale a partorire, che il Pnrr, la Zes, il green le avrebbero salvato la vita e dato un futuro a Sofia nel profondo Sud? Che quegli acronimi, quelle sigle, possono significare lavoro, futuro, occupazione, ambiente, innovazione. Insomma, l’economia vera, quella che nessuno di noi riesce mai a immaginare quando legge delle misure previste nella manovra del Governo o guarda quanto è aumentata la bolletta della luce nell’ultimo trimestre.

O, ancora, quando va in banca e scopre che il rateo del mutuo con cui pagarsi un tetto è improvvisamente aumentato o quando va in un supermercato e si fa i conti sul pacco di pasta e decide che, per oggi, è meglio saltare la verdura o la frutta che costano troppo. Chi ci pensa al Pnrr quando il pescivendolo ti stampa lo scontrino?

C’è di piu’. Cosa significa la storia di Desiré per gli industriali del mattone o della meccanica, del tessile o della chimica, se non questo: anche a Sud, nel faticoso Mezzogiorno di cui tanto si parla nei salotti da 40 anni a questa parte, si può investire, si può credere nel futuro, si possono scommettere denari e, soprattutto, idee, progetti, investimenti che, addirittura, consentono di recuperare e riqualificare 312 lavoratori ormai dati per morti. A patto di crederci e di gestire quelle idee, governarle, trasformandole in reali processi produttivi che siano in grado di sfornare prodotti di qualità, in grado di stare sul mercato e competere con i grandi player internazionali. Che si tratti di bottoni per camicie o di pannelli solari cambia poco, se ci credi e ci sai fare non c’è Amazon che tenga.

Ebbene, in tempi bui, fatti di un Pil che cala, di un’inflazione che galoppa, di una soglia di povertà che si va allargando in Italia, di neet che crescono più dei disoccupati a termine e di pensionati che aumentano più dei lavoratori, un raggio di sole c’è. Ed è una notizia, una di quelle good news che finiscono sulle brevi nei giornali - altro sistema industriale in tracollo - e che, invece, merita di essere raccontata. A tutto il Sud, agli imprenditori del Mezzogiorno che fanno fatica con i bilanci e quando non ce la fanno, scappano. E ai lavoratori del Mezzogiorno, sfiduciati sul futuro e aggrappati ad una speranza statale, che si chiami reddito di cittadinanza o pensione sociale. Vanno raccontate nel nome della piccola Sofia, innanzitutto, perché mamma Desiré ora non dovrà preoccuparsi di pagare l’Iva maggiorata sui suoi pannolini e domani potrà comprarle i libri di scuola.

A cos’altro servono le Zone economiche speciali e i Piani nazionali di resilienza se non a questo?

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