L'approfondimento
La «paura» della firma e il principio della fiducia al servizio del paese
Soltanto un funzionario adeguatamente formato ed istruito in tal senso dall’amministrazione sarà in grado di affrontare qualunque situazione gestionale gravida di possibili conseguenze sotto il profilo delle responsabilità erariali
Dal pregevolissimo convegno dall’evocativo titolo «La giustizia al servizio del Paese» che si è tenuto nei giorni scorsi a Palermo ed al quale hanno partecipato, insieme alla Corte dei conti, anche gli altri plessi giurisdizionali con rappresentanti di vertice di tutto rilievo fino ad arrivare al Presidente della Repubblica, molto si è parlato di questo servizio che viene reso al Paese dalla congerie di magistrati che da varie angolazioni cercano di fornire ai cittadini.
Essendo stato organizzato dalla giustizia contabile, molto si è caratterizzato sui suoi rappresentanti, sulla rivendicazione di spazi giurisprudenziali fatti di autonomia e indipendenza quale garanzia per i cittadini che richiedono magistrati di valore e credibili.
Ma molto ha virato anche sulla responsabilità erariale che, nonostante le picconate ricevute dal legislatore negli anni, con accelerazione negli ultimi, ancora pervicacemente resiste e, per quanto fortemente depotenziata, ancora evoca la c.d. «paura della firma» nei funzionari che la devono apporre.
Il fenomeno si è affacciato prepotentemente alla realtà con l’introduzione del recente codice dei contratti che ha configurato in modo nuovo la responsabilità erariale legandola funzionalmente all’autonomia decisionale dei pubblici funzionari in coerenza con i principi dei risultati e della fiducia, come recita il titolo di uno dei relatori del convegno.
E proprio prendendo spunto dall’intervento dell’avv. Terracciano non può non condividersi l’idea che quella responsabilità – che, per dirla con la Corte costituzionale, deve essere ragione di stimolo e non di disincentivo – senza un’adeguata formazione dei funzionari non si riesce a configurare correttamente, né a poterla legittimamente pretendere.
Ciò a dire che, è ben vero che molti ostacoli a cominciare dalla farraginosità delle norme si frappongono ad una corretta azione amministrativa, altrettanto vero è però che il funzionario medio rimane sempre privo di un’adeguata formazione che, purtuttavia, affonda le sue radici già in un periodo antecedente il suo ingresso in Amministrazione.
Che, infatti, le facoltà universitarie non brillino in offerta di corsi che educhino il futuro funzionario amministrativo ad una corretta gestione della cosa pubblica e ad una familiarità con la conoscenza e la corretta applicazione delle norme, è cosa notoria ed assodata.
Che, poi, all’atto dell’assunzione questa becera pratica, trovi il suo continuum, francamente è inaccettabile.
Ma se il legislatore del nuovo codice dei contratti ha previsto che il principio della fiducia favorisce e valorizza l’iniziativa e l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, con particolare riferimento alle valutazioni e alle scelte per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato, va da sé che l’agente pubblico deve possedere già tutti gli strumenti di valutazione del proprio agire amministrativo per non incorrere in quella responsabilità che, volgarmente viene definita «paura della firma».
Soltanto un funzionario adeguatamente formato ed istruito in tal senso dall’amministrazione sarà in grado di affrontare qualunque situazione gestionale gravida di possibili conseguenze sotto il profilo delle responsabilità erariali.
La violazione delle norme di diritto o delle regole di prudenza, perizia, diligenza, nel che si concreta la colpa grave di cui si è chiamati a rispondere davanti al giudice contabile, non si scongiura con la deresponsabilizzazione operata dalle norme eliminando la colpa grave e lasciando solo il dolo da provare con voli che definire pindarici è riduttivo.
La corretta gestione della cosa pubblica da parte dei funzionari è esigibile solo laddove «l’osservanza delle regole violate sia esigibile in relazione al grado di competenza dell’agente», come si legge nel contributo del relatore al convegno che, quindi, evoca l’esigibilità nei confronti dell’agente pubblico in base alle specifiche competenze ed in relazione al caso concreto che sarà da affrontare di volta in volta, ma pur sempre sulla base della metabolizzazione di un’adeguata formazione professionale che il funzionario non deve farsi autonomamente, ma con gli strumenti messi a disposizione dall’amministrazione il che fisserà il grado di competenza dell’agente che non sarà così più desunto dalla posizione organizzativa occupata, ma accertato in concreto, rendendo incompatibile una responsabilità di mera posizione e fortemente limitata una responsabilità per culpa in vigilando.
I principi allora della fiducia e del risultato che devono portare ad una corretta interpretazione delle norme sulla responsabilità amministrativa per essere, per l’appunto, stimolo e non morivo di rallentamento dell’azione amministrativa, mutuati dalla materia degli appalti e dei contratti pubblici, devono manifestare una valenza generalizzata non già per fronteggiare la c.d. «paura della firma» di cui lungamente si è parlato, bensì del timore di agire inconsapevolmente in modo illegittimo o non corretto.
Soltanto così si potrà esigere un corretto agire amministrativo che non comporti necessariamente un intervento punitivo generalizzato con effetto deterrente per azioni future, ma che sia limitato ai soli casi che comprovano una superficialità degna di rilievo per non aver reso all’Amministrazione, e tramite essa ai cittadini, quanto ricevuto in termini di formazione professionale specifica.