Il commento
Sentenze, video e baruffe, essere ragionevoli è un atto rivoluzionario
La singolar tenzone tra il leader della Lega Salvini e la giudice di Catania Apostolico, è un esempio paradigmatico dei cortocircuiti che si sono innestati nel dibattito pubblico italiano
La singolar tenzone tra il leader della Lega Matteo Salvini e la giudice di Catania Iolanda Apostolico rappresenta un esempio paradigmatico dei cortocircuiti che si sono stabiliti nel nostro dibattito pubblico: cortocircuiti che se non verranno aggiustati non consentiranno mai un confronto civile e, soprattutto, razionale. Per ripararli, però, è necessario innanzitutto individuarli. Aver chiaro perché essi impediscono che dalla competizione politico-istituzionale possa derivare un vantaggio per il bene comune.
Riassumiamo i fatti. Il 29 settembre scorso la giudice Apostolico non ha convalidato il trattenimento a Pozzallo di quattro emigrati, ritenendo illegittime le norme sulla base delle quali quel provvedimento era stato assunto. Matteo Salvini, qualche giorno più tardi, pubblica sui suoi social un video nel quale si vede la giudice, nell’agosto del 2018, impegnata a prender parte a una manifestazione per chiedere lo sbarco degli immigrati che si trovavano allora a bordo della nave Diciotti.
Apriti cielo. Si attiva, a questo punto, la baruffa mediatica. E come reagiscono i supporter delle due parti contrapposte? Quanti sostengono Salvini e le ragioni del suo filmato, ritengono scontata la consequenzialità tra i convincimenti politici dell’Apostolico e la sua decisione su Pozzallo. Chiedono, per questo, le sue dimissioni dalla magistratura: manco si trattasse di una carica politica. Quanti sostengono la giudice e le ragioni della sua sentenza, gridano al dossieraggio appellandosi alla difesa della privacy, non ostante la polizia assicuri che quel filmato non sia uscito dai suoi archivi. Dimenticano così che la manifestazione era pubblica e che chiunque decida di prender parte a una pubblica adunata, in quel momento stesso sceglie anche di rinunziare a una parte della sua privacy.
Nonostante non sia facile mettere ordine in un contenzioso tanto scombinato, non di meno vogliamo provarci. In premessa: non ci piacciono i generali che scrivono libri, così come i magistrati che partecipano a manifestazioni. Per una ragione in fondo semplice da comprendere: i generali hanno il monopolio dell’uso legittimo della forza, i magistrati quello l’amministrazione della giustizia. Entrambi gestiscono, dunque, risorse sensibili in nome e per conto dello Stato. E chi si trova in queste condizioni, dovrebbe astenersi dall’assumere posizioni di parte che possano risultare sgradite alla parte avversa. Come tutte le donne e gli uomini in carne ed ossa essi avranno, come è ovvio che sia, idee, convincimenti, giudizi e anche pregiudizi. Debbono, però, trattenerli nel loro foro interno e provare a farsi condizionare da essi il meno possibile, in modo da risultare (ed essere) rassicuranti erga omnes.
Stabilita tale premessa, dovrebbe essere altrettanto evidente - direi scontato - come non basti un filmato per delegittimare la sentenza di un giudice. Per farlo, bisogna dimostrare che quella sentenza è errata; che si fonda cioè su presupposti giuridici inesistenti o che li strumentalizza per raggiungere risultati prefissati. A tal fine si può liberamente argomentare ma, soprattutto, ci si può appellare agli strumenti di garanzia che l’ordinamento prevede. Che in più di un caso in Italia - sia detto per inciso - hanno dimostrato di funzionare con efficacia. Solo dopo aver dimostrato la manifesta illogicità di una decisione giudiziaria - nel caso in specie, la messa in libertà dei quattro emigrati - è lecito ritenere che essa sia frutto di un preconcetto che meriti di essere sanzionato attraverso un intervento disciplinare.
In un mondo normale, queste considerazioni dovrebbero esser ritenute scontate. Al tempo dei social, invece, dove tutto è impressione, esagerazione, insulto, ciò che è ragionevole è diventato rivoluzionario. Ed è forse per questo che a noi che l’abbiamo sempre aborrita, la Rivoluzione sta diventando simpatica.