il commento

Le politiche sui migranti tra realtà e retorica, urge un po’ di umanità

Nicola Costantino

Contrastare chi sfrutta la disperazione, in mare (gli scafisti) o in terra (i carcerieri), non significa combattere la disperazione di chi cerca una migrazione di sopravvivenza

Il contrasto alla migrazione clandestina è stato un cavallo di battaglia elettorale dell’attuale governo, che probabilmente ha contribuito in misura significativa al suo successo. Con l’obiettivo di fermare la “sostituzione etnica”, conseguenza della supposta “invasione” in corso, si sono promesse soluzioni per la difesa dei sacri “confini della patria” tanto radicali quanto (per fortuna!) irrealizzabili, come i “blocchi navali”.

E siccome in tutte le battaglie è necessario individuare uno o più “nemici”, ecco che sono stati criminalizzati non solo gli scafisti (che lo erano già) ma anche le ONG, vittime di un vero e proprio bullismo istituzionale (divieto di soccorsi multipli, indicazione di porti di sbarco lontanissimi, ecc.). Risultati: secondo dati del Ministero dell’Interno, dal primo gennaio al 4 agosto scorso in Italia sono sbarcati circa 92.000 migranti, più del doppio di quelli giunti nello stesso periodo del 2022 (il triplo rispetto al 2021); dati questi che, tra l’altro, smentiscono clamorosamente la fantasiosa teoria del presunto “pull effect” delle ONG (la cui presenza in mare costituirebbe, di per sé, fattore di attrazione dei migranti).

Il Presidente del Consiglio dice di voler fermare l’attività di chi lucra sui tanti disperati (obiettivo pienamente condivisibile), ma punta a farlo sostituendo gli irrealizzabili “blocchi navali” con altrettanto inumani “blocchi terrestri”, estendendo alla Tunisia le sciagurate “deleghe alla crudeltà” già poste in essere in Libia, dove abbiamo finanziato, e finanziamo tuttora, lager e torture (ed è questo un capitolo, inaugurato dalle improvvide iniziative del ministro Minniti, sul quale il centrosinistra deve ancora fare una completa e convincente autocritica). Ma contrastare chi sfrutta la disperazione, in mare (gli scafisti) o in terra (i carcerieri), non significa combattere la disperazione di chi cerca una migrazione di mera sopravvivenza; problematica questa nella quale è necessario superare una volta per tutte l’ipocrita distinzione tra chi fugge dalla guerra (e che, almeno in teoria, in quanto profugo dovrebbe essere sempre accolto) e i cosiddetti “migranti economici” da respingere in ogni modo: ogni anno muoiono al mondo, per guerre e rivolte, mediamente 100.000 persone, mentre quelle che soccombono per fame (ovvero per alimentazione inadeguata) sono, secondo Il Direttore Generale dell'OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus, oltre 10 milioni, 100 volte di più!

Per quale motivo chi fugge dalla morte per fame avrebbe meno diritto alla solidarietà internazionale di chi cerca scampo dai bombardamenti? Cosa fare allora per aiutare - veramente, e non solo “a chiacchiere” - i tanti, troppi, disperati? Il Presidente Meloni dichiara di puntare su un fantomatico “Piano Mattei” che ha definito "un modello virtuoso di collaborazione e di crescita tra Unione Europea e nazioni africane, anche per contrastare il preoccupante dilagare del radicalismo islamista, soprattutto nell’area sub- sahariana”. Benissimo! Ma in soldoni, cosa significa? La collaborazione tra ricchi e poveri non può non prevedere significativi trasferimenti di risorse (“aiutiamoli a casa loro”). Su questo fronte, cosa facciamo? Nel 2022 abbiamo destinato all’assistenza allo sviluppo dei paesi sottosviluppati (Official Development Assistance) poco più dello 0,3% del PIL, a fronte di un obiettivo ONU dello 0,7% (dati OCSE; la Svezia ha speso lo 0,9%, la Germania più dello 0,8%, l’Olanda quasi lo 0,7%, la Francia quasi lo 0,6%). Se il “Piano Mattei” vuole diventare un vero “modello virtuoso di collaborazione” con i paesi africani dovremmo almeno destinare all’assistenza allo sviluppo lo 0,7% del PIL preposto dall’ONU, il che comporterebbe, per il 2023, un aumento del relativo stanziamento di oltre 6 miliardi di euro, ma di ciò non c’è traccia nella legge di bilancio del corrente anno. Lo troveremo in quella del 2024? Ce lo auguriamo, ma al momento le priorità di spesa sembrano essere ben altre (in primis la fantomatica “flat tax incrementale”: fantasioso ossimoro, ennesima conferma della creatività lessicale della nostra politica: come dire “pianura in salita”).

In realtà questo governo un provvedimento potenzialmente a favore dei migranti lo ha preso: con il “decreto flussi” per il triennio 2023 – 2025 ha previsto globalmente 452.000 ingressi (di cui 136.000 nel corrente anno), rispetto a un fabbisogno rilevato di 833.000 unità: una iniziativa potenzialmente molto significativa, ma molto poco pubblicizzata, per ovvi motivi (accoglie, almeno in parte, le istanza degli imprenditori, ma naturalmente non può apparire gradito a chi lamenta la fantomatica “sostituzione etnica”, e che ha diritto di sentirsi tradito). Sarà importante vedere come il provvedimento sarà gestito, soprattutto riguardo al riconoscimento del fatto che gli immigrati, oltre che lavoratori (utili, anzi indispensabili, alle nostre imprese), sono persone (cristianamente nostri fratelli), alle quali vanno riconosciuti tutti i diritti civili e sociali fondamentali, a partire da quello alla propria famiglia, e da un corretto inserimento sociale.

Un po’ più di umanità, e di coraggio, su questo fronte potrebbe risolvere tanti problemi: non solo agli agricoltori preoccupati per la raccolta dei pomodori, ma anche a chi lamenta la realtà dei vergognosi ghetti di migranti irregolari da un canto, ed il preoccupante calo demografico “della popolazione italiana” dall’altro, senza prendere atto che sono due facce di una stessa medaglia.

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