L'anno scolastico
Per l’anno prossimo coltiviamo il sogno di una scuola che finalmente creda ai sogni
Tra pochi giorni gli studenti, dopo un anno di impegni, vedranno in prossimità della fine soltanto l’azzurro del mare rispecchiarsi nei loro occhi
Sta per concludersi l’anno scolastico per docenti, allievi, dirigenti e per tutto il personale che compone la scuola: il cui significato primario significa «riposo», ovvero il tempo libero che i pochi dedicavano alla cultura, poi ha assunto il senso più ampio e democratico di «lezioni» per educare tutti e maturare la coscienza di individui liberi e responsabili. Attualmente cos’è la scuola? È evidente che non goda di buona salute: a fatica trascorre gli anni che porta addosso come macigni, logorata tra edifici pericolanti e mancanti di strutture adeguate. Tra pochi giorni gli studenti - dopo un anno di impegni - vedranno in prossimità della fine soltanto l’azzurro del mare rispecchiarsi nei loro occhi, mentre chi dovrà sostenere il celeberrimo «esame di maturità» sarà immerso da forti e contrastanti emozioni. Godrà di attese. Speranze. Futuro?!
Ai protagonisti della scuola non interessa di sicuro che il liceo sia «Made in Italy», come tuonava mesi fa la canzone Made in Italy di Rosa Chemical che sembrava avesse fatto breccia nella porta del cuore del nostro Presidente del Consiglio, non ricordandosi però che uno dei suoi ministri avrebbe sanzionato l’utilizzo di un linguaggio differente dalla lingua italiana. E allora? «Prodotto in Italia» o meglio «Fatto in casa»? «Il sesso made in Italy, l’amore made in Italy, il sogno made in Italy, la storia made in Italy...» e perché no, anche il «Liceo made in Italy».
In Italia è sufficiente che si cambino i nomi in virtù di una mancata metamorfosi strutturale, noumenica, e ibridare idee, fatti. È indubbio che imparare un mestiere (come si diceva qualche decennio fa) è doveroso, però è altrettanto essenziale conoscere e comprendere la propria soggettività, la propria personalità, avere un pensiero critico, riconoscere i ruoli. Insegnare ad amare la scuola perché scuola di vita. È una questione lasciata irrisolta e sollevata ad esempio da Nietzsche nel secolo XIX nelle sue conferenze
Sull’avvenire delle nostre scuole riguardanti la «barbarie culturale» frutto di una paralisi e di uno sfruttamento della cultura a servizio dello Stato, di un’economia politica che ha perseguito l’utilità e il guadagno. «Il vero problema della cultura consisterebbe perciò nell’educare uomini quanto più possibile “correnti”, nel senso in cui si chiama “corrente” una moneta». In sintesi, rendere spendibile ogni individuo così come ogni cosa. Una formazione pedagogica che nessuno è riuscito a migliorare, nemmeno i governi di sinistra sono stati capaci di invertire la rotta e seguire la giusta direzione se non avallare l’industria culturale. Quale è l’obiettivo? Produrre. Fomentare un capitalismo a fronte di un precariato a nodo gordiano.
Una distonia tra uomo e merce, tra conoscenza e oggettivazione del sapere che conduce a un reale problema sociale: come si può creare un professionista del «Made in Italy»? Se non ha la possibilità di realizzare il proprio sogno nel suo luogo natìo? Se per farlo deve lasciare la propria terra?
Quale è lo stato di salute della scuola italiana? Febbricitante. Persiste un netto divario Nord e Sud, con un incremento del tasso di abbandono scolastico e di giovani che continuano a lasciare il Meridione. Non è indice di buona salute.
Occorrerebbero delle linee programmatiche che guardino al futuro. Sarebbe opportuno volgere lo sguardo verso chi è la scuola: studenti, professori, «persone vive» animate da sentimenti: cuore e ragione. Non sarà possibile un miglioramento senza idee, punti di riferimento, cura. Non sarà possibile se nei licei, negli istituti scolatici in toto si persegue una cultura della performance. Omologata. Non attenta ai singoli. Non si può smentire l’impegno dei dirigenti nel loro «fare», nel rendere la scuola vitale. Ma non è sufficiente. Cultura, conoscenza, autorevolezza, rispetto. Cardini di una scuola che crea le fondamenta per far crescere una società sana. Impegno, attenzioni, cura, dovrebbero giungere anche da chi legifera e lascia nel precariato un esercito di insegnanti senza futuro, ma con la voglia di sognare, che posseggono passione da trasmettere, seppur sfiduciati e per questo depauperati dal quel ruolo di responsabilità che l’insegnante dovrebbe indicare: «educare alla vita». Amarla. Credere al sogno. La scuola non può diventare un parcheggio, né una fabbrica. Costituisce il ganglio della società: la sua struttura portante. Qui si deve «imparare a vivere» (E. Morin): ad affrontare gli imprevisti, a superare gli ostacoli, e per raggiungere tale meta occorre crearne le condizioni. Un lavoro di tale levatura non può essere considerato alla stregua di qualsiasi altra professione, nemmeno denigrato per via di rumorose fandonie. Con un costante blaterare fastidioso e controproducente.