Il commento

E il quattro di maggio sfrattò anche l’impossibilità di vincere

Napoli è chiamata a vivere i giorni del dopo; quei giorni nei quali l’enorme emozione di aver raggiunto un traguardo che per ben trentatré anni è sembrato un miraggio ha bisogno di trovare una forma.

Napoli è chiamata a vivere i giorni del dopo; quei giorni nei quali l’enorme emozione di aver raggiunto un traguardo che per ben trentatré anni è sembrato un miraggio ha bisogno di trovare una forma.
In quanti sentono che la felicità provata non ha ancora le parole esatte per essere detta. D’altronde la felicità, quando c’è, è davvero un miraggio raggiunto, sia pure per quegli attimi in cui dura e produce il suo effetto.

Ma in questo caso non si tratta solo di una felicità individuale e privata, bensì di una felicità collettiva e pubblica: la felicità di una città. Dunque il processo di acquisizione sarà diverso, di sicuro più lungo, e dagli esiti inaspettati e ancor più difficile da descrivere.

Per cercare di stabilire un perimetro di possibile ragionamento, bisogna dire che Napoli è molto più di Napoli, non solo perché la sua estensione territoriale va ben oltre i confini urbani, ma per la sua dilagante pregnanza simbolica.
Si pensi che all’estero, molto più di quello di Mameli, l’inno italiano è ‘O sole mio; a significare che Napoli in certi casi è in grado di rappresentare l’intera Italia, la parte che vale per il tutto.
Allo stesso tempo Napoli, emblema del Sud, è anche un’Italia bistrattata, mai compiuta, sempre in forse, esposta ad ingiurie ed incomprensioni molteplici e spesso inspiegabili.

Lo scudetto, consacrato ai campioni d’Italia, torna a una squadra i cui tifosi vivono nei luoghi più disparati del mondo; uno scudetto trasversale, capace di sorreggere una vasta raggiera di simboli. Il fatto che si sia dovuti aspettarlo così a lungo è un altro elemento da far entrare nel nostro perimetro.

Dopo l’epoca d’oro di Maradona, dopo aver beneficiato dell’estro magico di un fuoriclasse che riusciva a galvanizzare un’intera squadra, quanto è stato difficile risalire la china. La città di allora e quella di oggi sembrano due città diverse, tanto che molti discorsi su Napoli hanno la necessità di essere rifondati a partire da nuove basi.

Eppure il filo che le lega c’è, non può non esserci. E questo filo lo hanno soprattutto in mano le persone nate dopo il 1990, anno del secondo scudetto.
Sono loro che per la prima volta nella propria vita hanno ricevuto dalla squadra del cuore un regalo che quasi non si aspettavano più di poter ricevere.

La loro gioia è stato un vero e nuovissimo quattro di maggio.
Come si sposano a volte le date e le emozioni!
A Napoli il quattro di maggio è il giorno consacrato agli sfratti; si lascia una casa per trasferirsi in un’altra; in un certo qual modo si cambia vita.

Le ragazze e i ragazzi nati dopo il 1990, i nostri figli, l’altra notte, li abbiamo visti per le strade, insieme grati e increduli. Alcuni di loro hanno preso dei treni e degli aerei per essere nella loro città insieme a chi è rimasto; gli amici si sono di nuovo tenuti per mano; hanno sventolato le bandiere lasciate a dormire nelle loro camere da letto.
E se per il primo scudetto ci si era preoccupati di chi non aveva mai potuto vederlo e si era andati nei cimiteri per raccontare ai propri parenti e amici cosa si fossero persi; per il terzo scudetto, chi aveva vissuto i primi due, ha subito pensato: ragazzi, ecco cosa finalmente vi è stato dato.

Il terzo scudetto è di tutti, certo; ma è soprattutto dei giovani che lo hanno atteso così tanto e che oggi si chiedono se dovranno aspettare di fare i capelli bianchi per festeggiarne un altro e magari poterlo condividere con i propri figli.
Uscendo dalle metropolitane e dalle funicolari, per una volta in funzione fuori dagli striminziti orari in cui siamo stati ristretti negli ultimi anni, i tifosi tornavano ad essere cittadini; camminavano da vincitori in una città che la Storia ha messo troppo volte dalla parte dei vinti.

Una polposa luna quasi piena, inargentando il mare del Golfo, spingeva al canto, all’era de maggio.
Trasformandosi in Capodanno, il quattro di maggio, quando verranno le parole esatte per dire la felicità pubblica di una città che è ben più di una semplice città, potrebbe diventare una nuova data nel calendario civile, a significare lo sfratto dall’impossibilità di vincere e di farne esperienza duratura.

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