L'editoriale

Dalla «Bossi-Fini» al dl «Cutro»: gli indecenti balletti politici sul fenomeno immigrazione

Francesco Alicino

L’italico legislatore, sorvolando sulle evidenze empiriche, tratta l’immigrazione con atteggiamenti al contempo tragici, comici ed estemporanei

Ha da tempo dismesso i panni del problema emergenziale per indossare quelli del fenomeno strutturale. Non così per l’italico legislatore che, sorvolando sulle evidenze empiriche, tratta l’immigrazione con atteggiamenti al contempo tragici, comici ed estemporanei. Basti dire della legge Bossi-Fini del 2002, foriera di drammatiche conseguenze e innumerevoli critiche. Comprese quelle provenienti dal centro-sinistra, tanto più ridicole se si considera la sua permanenza al vertice della macchina statale e l’incapacità dei partiti di riferimento di incidere sugli spazi vuoti di logore formule legislative. Al punto che dopo vent’anni quella legge, lungi da essere abrogata, vive e alimenta la narrazione di altri imprenditori del consenso, impegnati a nutrire il dibattito con slogan improbabili, quando non frutto di una strumentale e farsesca ignoranza: lo sono quelli improntati a inverosimili sostituzioni etniche, apocalittiche invasioni e favolistici blocchi navali. Ad essi s’aggiungono con periodica cadenza non meglio precisate «colpe dell’Europa», il cui richiamo ignora strumentalmente la natura istituzionale – interstatale e intergovernativa – dell’Unione europea, la reale situazione del riparto delle competenze in tema di immigrazione: sono gli Stati membri, e non l’Unione, i principali protagonisti di questa deriva, di un siffatto disastro politico e normativo.

Nel frattempo il fenomeno si è macchiato di eventi indicibili, come quello registrato a Steccato di Cutro il 26 febbraio 2023, quando più di novanta persone sono morte in un incomprensibile naufragio a poche centinaia di metri dalla riva calabrese. Il Governo Meloni interviene il 9 marzo 2023 con uno scenografico Consiglio dei Ministri, dal quale fuoriesce l’ennesimo provvedimento emergenziale. A formalizzarlo è il decreto 20/2023, meglio conosciuto come decreto Cutro, non ancora convertito in legge. Con insensata tenacia solca l’abitudine delle norme-manifesto che, dotate di valore simbolico, si risolvono in soluzioni inutili, se non dannose e controproducenti. Lo testimonia la temeraria ambizione di pedinare gli scafisti e i trafficanti di esseri umani universalmente, per tutto il globo terraqueo.

Ad ornare la vicenda legislativa soccorrono pene particolarmente elevate (fino a 30 anni di reclusione se durante il viaggio i migranti muoiono o subiscono lesioni), il cui effetto pratico e deterrente è tutto da dimostrare. Ma lo attestano anche le disposizioni sulla protezione speciale che, assieme alla protezione internazionale (Convenzione di Ginevra del 1951) e alla protezione sussidiaria (Direttiva 2011/95/UE), completa la disciplina del diritto di asilo: diritto che, è bene ricordarlo, deve essere riconosciuto allo straniero «al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana» (art. 10).

Introdotta nel 1998 sotto forma di permessi di soggiorno rilasciati per motivi umanitari, la protezione speciale sopravvive alla Bossi-Fini sino a quando, con il decreto sicurezza  del 2018, il Ministro Salvini e il primo Governo Conte decidono di sostituirla con permessi temporanei accordati per specifici casi: vittime di violenza o grave sfruttamento in ambiente domestico e lavorativo, condizioni di salute di particolare gravità, situazioni di eccezionale e contingente calamità, compimento di atti di alto valore civile.

Nel 2020, la seconda versione dell’Esecutivo Conte la riporta all’originaria ispirazione: in linea con la giurisprudenza, ritiene che la sua base normativa si deduca anche dai «vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali» (art. 117.1 Cost.). Questi includono il divieto di espulsione di uno straniero qualora sussistano fondati motivi di ritenere che ciò comporti una violazione del «diritto al rispetto della vita privata e familiare» di cui all’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU). È quanto afferma il decreto-legge 130/2020, detto anche decreto Lamorgese, che lega la protezione speciale all’«effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine». Parametri, questi, che il decreto Cutro vuole abrogare. L’intento abrogativo è però accompagnato da un’affermazione di principio, informata al rispetto degli obblighi costituzionali e internazionali, quindi anche a quelli connessi con l’articolo 8 della CEDU.

Insomma, negli ultimi venti anni la storia legislativa dell’immigrazione si è contraddistinta per un indecente balletto di regole ed eccezioni, di brusche frenate e spinte in avanti, raggiungendo irragionevoli risultati e, di conseguenza, buttando costantemente la palla nel campo della giurisprudenza. Salvo poi insorgere e gridare contro l’usurpazione di potere normativo da parte di giudici incontinenti, a cominciare da quelli apicali e costituzionali. Che, in coerenza con la configurazione statale e sovrastatale del diritto d’asilo, continuano non a caso ad affermare la necessità di applicarlo «alla luce dei diritti fondamentali della persona, garantiti dalla Costituzione e dagli altri strumenti di tutela europea e internazionale» (Corte costituzionale sent. 194/2019 nonché Cassazione, sezioni unite civili, sent. 24413/2021). Ciò, d’altra parte, sottolinea la tendenza della politica italiana, sempre più in balia di cinici interessi speculativi, apatici comportamenti, pollai televisivi, risse telematiche, tifosi mascherati da intellettuali, parole gonfie di selvaggia e tragicomica incongruità.

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