Lo sguardo

La «straniera» in chemioterapia

Francesca Borri

E nessuno neppure la nota. In ore di viavai. Come trasparente. Ma cosa siamo diventati?

Quello che mi colpisce, è che non colpisce nessuno. Sta lì, in un angolo. A capo chino. Con il suo cappello a tesa larga, la camicia chiara, la giacca di sartoria, le dita perfette, e sotto il cappello, tra il cappello e il bavero rialzato, questo foulard nero che si intravede appena, e solo lo sguardo, che è lo sguardo di chi sta nel mezzo di una chemioterapia, e di una di quelle forti: e sta lì sola. In un centro oncologico.

E nessuno neppure la nota. In ore di viavai. Come trasparente. Ma cosa siamo diventati?

Fa freddo stasera, piove e tira vento. E non ha un fratello, un figlio, un compagno, un amico di liceo? Il dirimpettaio di casa? Un collega di scrivania? Uno che abbia detto: Vengo con te. Uno solo. Nessuno.

Si alza un momento, e a stento cammina.

Sarà viva domani?

Eppure non è venuto nessuno.

Immagino la spiegazione sia che sono cose di cui non si parla. Le malattie, soprattutto. Uno, no? non domanda, perché teme di essere indiscreto. Invadente. Inopportuno. O forse perché teme di intristirsi? Perché teme se stesso? Non il dolore degli altri, ma il proprio? Cos’è questo silenzio? Empatia? O egoismo? Cura o incuria?

Mi scusi, signora, se mai si riconoscerà in queste righe: mi scusi se sono qui a fissarla. Ma vivo in guerra. E la guerra è quando impari a onorare la vita. Fuori, la città scintilla. Tutta tirata a lucido. Pietra bianca e aree verdi dove un tempo c’era cemento e basta, e turisti ovunque. La Bari di provincia da cui sono andata via a diciotto anni ora è una città internazionale, in cui nessuno è straniero, dicono: ma poi lei è lì, nell’angolo, e le strade sono solo vetrine. Perché com’è difficile, vero? invece che comprare le azalee della ricerca, venirle vicino, e chiedere: Come sta?

Diceva don Milani: Il prossimo, è chi ti è accanto. La strada più lunga, la strada che va alla casa di fronte.

Ma dove si dice tutto questo? Dove si discute, oggi che il dibattito non è che il dibattito sulle palme, sui monopattini, sui parcheggi, sugli arredi invece che sulle strutture, sulle note a margine, oggi che siamo solo sagome nei rendering degli architetti, dov’è la comunità che vive questa città? Si progettano cupole sulla ferrovia. Ma sotto? Cosa c’è sotto? Non resta che Facebook, in questa città che si fa lustro di don Tonino Bello: ma poi alla Feltrinelli manco hanno più i suoi libri. In fondo, a Natale basta cercarsi una sua frase su Google.

Nessuno è straniero, ma certo: quando tutti sono stranieri.

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