L'editoriale
Se Mattarella e re «Ama» a Sanremo riuniscono l’Italia (ma per una notte)
Viva la Rai, viva l’Italia: è sembrata una nottata di sogni costituzionali, unitari, manco fosse il 1861, quel 17 marzo in cui Vittorio Emanuele proclamò l’Italia unita
Basta un Festival milionario a riunire un’Italia divisa? Sì, incredibile, la risposta è sì. Siamo stati mesi, anni, a dircene di tutti i colori sull’autonomia differenziata, sul (Bel)Paese disunito e diseguale, sulla battaglia tra i sessi e sulla «dimenticata» Costituzione... Ma tutto si è infranto e apparentemente risolto ieri sera appena il re «Ama», l’Amadeus nazionale, ha salutato con enfasi da prima volta della Storia la presenza del capo dello Stato a Sanremo. Subito dopo, l’immarcescibile Morandi con l’Inno d’Italia (unita) e poi ancora, l’altrettanto non sottoposto a usura Roberto Benigni con la lettura della nostra meravigliosa Carta: tutti insieme appassionatamente a celebrare la Nazione che per una notte, in diretta, sembrava aver abbattuto i suoi muri. Paradosso e falsità in diretta.
Viva la Rai, viva l’Italia: è sembrata una nottata di sogni costituzionali, unitari, manco fosse il 1861, quel 17 marzo in cui Vittorio Emanuele proclamò l’Italia unita. Certo, i tempi sono cambiati e ora a proclamare c’è un uomo in giacca scintillante di paillettes chiamato e pagato lautamente per fare il festival e pure l’Italia. Amadeus, al grido qui o si fa Sanremo o si muore, sembrava un risorto Garibaldi, aiuto!
È andata in onda la celebrazione di una nazione che, nonostante i tanti problemi, sembra felicemente leggera e tenuta insieme dalla musica leggera. Altro che canzonette, questo Festival 2023 postpandemico-postfemminista-postgender e postfascista, ha fatto più politica – almeno nella prima mezz’ora – che trent’anni di assemblee Pd, di campagne elettorali di destra, di una Giorgia Meloni infiammata sui palchi che poi l’hanno portata al governo. Segno del vuoto che avanza, se il pieno è questo.
La presenza del presidente Mattarella (che sorriso aperto aveva per il debutto sanremese!) è stato un ottimo segnale d’attenzione alla bistrattata musica e non solo alla Costituzione. In alcuni attimi e in alcuni momenti – se vogliamo riderci su - la sua figura austera e signorile ha rischiato di essere offuscata da quella della «presidente» Ferragni, bella, magra, manageriale, digitale, intelligente come una volpe, tigressa delle reti internettiane del mondo, pronta a farsi un selfie con il «collega» Sergio Mattarella e a gridare al pianeta che lei, sì proprio lei, nata dai suoi follower che adesso sono – udite udite – oltre 28 milioni, odia gli odiatori social. Quelli che cliccano anche su di lei e amano o odiano anche lei. A chi passa tutto il giorno sul cellulare ha dato un annuncio snob: «Il 90 per cento della mia vita non è sui social, ci sono mille altre cose nella mia giornata che non vengono postate». Saggia, desta nuove curiosità. Lei, da presidentessa-ombra della Repubblica, è super partes: al festival più ecumenico della storia sanremese è arrivata dicendo da subito che cederà il suo cachet all’associazione Dire, Donne in rete contro la violenza. Quanto? Non si sa.
Soldi. Quelli che insieme alle altre parole con la «S», Sesso e Sangue, creano le magiche audience popolari, sono ben presenti a Sanremo. I 50 milioni di pubblicità incassati dalla Rai, il cachet di Benigni sul quale si è aperta ieri una polemica politica (è intervenuto anche il senatore Maurizio Gasparri di Forza Italia) e i fiumi di denaro che pare arriveranno ai vari mega-ospiti internazionali e non. Sesso: anche questa parola non poteva mancare. E infatti, la polemica gender sul rapper Rosa Chemical che parlerebbe di sessualità fluida tiene banco da giorni, insieme alle varie prese di posizione su eventuali posizioni omo. Insomma, manca la parola Sangue per fortuna, ma il rosso – viva l’Italia – è nello scintillare dei bei rossetti, negli abiti più belli, nei fiori, in qualche tatuaggio... e nel rosso della bandiera di una «patria» riunita anche solo per una notte su un palcoscenico dalle scale irte, difficili, ma alla fine irrinunciabili. Come lo è la nostra vita, come lo è il Festival.