L'opinione

Cellulari in aula? No, la scuola investa nell'istruzione

Terry Marinuzzi

Ancora una volta il benessere dei bambini e dei ragazzi viene messo in secondo piano e resta invece salda la prospettiva di un mondo adulto che non sa vedere il disagio ormai diffuso tra le nuove generazioni

Il dibattito sull’uso dei cellulari in classe a seguito dell’ulteriore circolare che ne vieta l’utilizzo a Scuola da parte del Ministro Valditara si sta rivelando l’ennesimo scontro improduttivo tra tifoserie contrapposte teso a distogliere il mondo dell’educazione da questioni ben più urgenti e rilevanti.

Ancora una volta il benessere dei bambini e dei ragazzi viene messo in secondo piano e resta invece salda la prospettiva di un mondo adulto che non sa vedere il disagio ormai diffuso tra le nuove generazioni, il cambio di paradigma nelle impostazioni delle relazioni umane e in ultimo l’inadeguatezza di un sistema scolastico chiamato ora più che mai a rivedere la propria «mission» all’interno della nostra società che sta rapidamente transitando dal sistema dell’informazione a quello dell’immerzione nel mondo digitale (il cosiddetto «metaverso»).

Il mondo intorno a noi cambia ogni giorno alla velocità della luce e questi cambiamenti stanno iniziando ad investire la nostra sfera fisica e psichica; eppure l’essere umano continua, in ambito apprenditivo, a mettere in campo gli stessi meccanismi: attenzione, memoria, selezione, controllo, verbalizzazione e soprattutto conserva ancora la sua sfera emozionale, domanda ancora la socializzazione e l’interazione fra i corpi, soprattutto dalla primissima infanzia alla giovinezza.

In attesa di capire in che termini e in quali tempi avverrà quella famosa «transizione antropologica» che assimilerà sempre di più l’uomo alle macchine, questo delicato tempo di passaggio si configura come una stagione di crisi all’interno della quale sono i più deboli a soccombere, coloro che non ancora completamente formati nella propria identità psico-fisica-emotiva-motoria-affettiva, non ancora sufficientemente nutriti da spirito critico e adeguate conoscenze dei meccanismi del mondo esterno e ancor più del proprio mondo interiore, sono in molti casi destinati a perdersi tra solitudini, dipendenze, compulsioni.

La sovraesposizione ai video dei minori è ormai un’emergenza nel mondo cosiddetto «avanzato» e nei Paesi a tecnologie maggiormente sviluppate (come in Giappone per esempio) i governi sono già da tempo corsi ai ripari in ambito familiare e didattico limitando sempre di più l’utilizzo dei device fra i più piccoli e gli adolescenti; e allora se l’uso delle tecnologie in ambito educativo è inevitabile e rappresenta anche una risorsa ai fini non soltanto della migliore fruizione dell’esperienza didattica ma soprattutto per l’inclusione di studenti con disabilità intellettive, psico-sensoriali, di studenti con disturbi della sfera dell’apprendimento, del linguaggio e della sfera comportamentale non si può ignorare, anche alla luce delle sempre più dettagliate evidenze scientifiche che tali strumenti, non possono prescindere dal lavoro cooperativo in aula, dalle tecniche espressive condivise in gruppo, dalla didattica in ambiente naturale, dall’attività motoria quotidiana, dalla pratica delle arti in coppia e in gruppo.

Anche sulle pagine della «Gazzetta» nei giorni scorsi si è criticato l’intervento del Ministro affermando che, in fondo «i cellulari sono come i computer»; la risposta a questa asserzione la fornisce in questi stessi giorni uno studente di sedici anni sulle pagine di un quotudiano che scrive: «non usare il telefonino in classe non significa non promuovere la formazione tecnologica. Le scuole sono infatti dotate di LIM e aule informatiche dove la tecnologia è messa a disposizione degli studenti in modo sicuro, uniforme e democratico, proprio gli aggettivi che non userei per definire l’utilizzo “privato” del cellulare. (…) noi ragazzi che sosteniamo le grandi potenzialità del cellulare dovremmo riconoscere che quando accendiamo il telefonino si spegne anche una parte della nostra mente. È per questo che almeno a scuola dovremmo usarlo il meno possibile».

Per concludere allora ritengo che il nostro Paese non possa continuare ad eludere un problema sempre più diffuso: quello della dipendenza dei bambini e degli adolescenti italiani dallo smartphone; così che il mondo adulto, le agenzie educative, la politica sono urgentemente chiamate a rinnovare le esperienze formative dei nostri piccoli e dei nostri ragazzi investendo il proprio tempo, le proprie energie, il denaro pubblico non nell’acquisto degli ennesimi ipod ma dichiaratamente e senza indugio nell’ istruzione pubblica che vuol dire: nuove Scuole con spazi di apprendimento autenticamente inclusivi ed innovativi, con palestre adeguate, con aule di musica per tutti, con più docenti per consentire la formazione di gruppi di apprendimento maggiormente sostenibili, con mense per il pasto condiviso, con laboratori scientifici adeguati, con percorsi di crescita accoglienti e naturalmente inclusivi.

L’amara verità è che «regalare uno smartphone» ad ogni studente è più semplice, immediato ed economico.

Non facciamoci complici di tale deriva. Non continuiamo ad abbandonare i più piccoli e i ragazzi consegnandoli definitivamente alle macchine e privandoli del bene più prezioso per imparare a vivere: l’immaginazione.

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